Il Governo mette sotto controllo la spesa degli Enti locali
11 Luglio 2008
L’Italia è il paese delle grandi asimmetrie. Il programma elettorale del Pdl evidenziava le principali anomalie della nostra finanza statale: il patrimonio pubblico è di gran lunga superiore al debito, quest’ultimo è collocato sul mercato, mentre l’attivo è in gran parte in mano pubblica.
Ed ancora, il debito è del governo centrale (dello Stato), mentre gran parte del patrimonio – circa due terzi del totale – è dei governi locali. Infine, mentre il prelievo fiscale è centrale, gran parte della spesa pubblica, quella più discrezionale, è locale.
Il problema principale, dunque, è che chi ripiana i debiti non coincide con chi li origina. Da tempo regioni, province e comuni esondano dal perimetro di spesa e ormai abusano persino dei mercati finanziari.
I vincoli di finanza pubblica inducono infatti gli enti a ricercare spesso soluzioni capaci di dare risposte immediate ai problemi finanziari, che però spesso producono effetti negativi sugli equilibri di medio e lungo periodo.
A questo si aggiunge il ricorso a strumenti finanziari complessi e sofisticati. Prima di addentrarsi nel programma di governo – per permettere anche a chi non mastica finanza tutti i giorni di seguire la nostra analisi, per identificare realmente le dimensioni del fenomeno – è opportuno prima ricordare cosa sono i derivati ed il loro rapporto.
Cioè come questi strumenti si sono ben accasati, tra le varie speculazioni degli enti locali.
Sono nati per coprire le imprese ed altre istituzioni da una serie di rischi legati alle loro attività, quali il rischio di cambio, quello di tasso di interesse, il rischio di oscillazione dei prezzi delle materie prime e si sono poi estesi ad altre aree, quale quella del rischio di credito.
Il loro obiettivo originario era quindi quello di strumenti di tutela contro i rischi, in realtà oggi sono sempre più adoperati ai fini speculativi e non a fini di protezione.
Si pensi poi che il loro utilizzo tende a gonfiare l’attivo ed il passivo di bilancio, rendendo più difficile la comprensione reale dei fenomeni aziendali dai dati di bilancio stessi.
L’ampio utilizzo dei derivati specie nel settore pubblico è servito negli ultimi anni a nascondere perdite di bilancio, per spostare in avanti un indebitamento difficilmente affrontabile sul momento.
Sono strumenti spesso di difficile o difficilissima comprensione in tutte le loro implicazioni e possono portare, paradossalmente, a perdite enormi tanto che in caso di crisi dell’economia, possono accentuare l’instabilità sistemica a causa della stretta connessione che essi attuano tra i vari mercati finanziari.
Le posizioni degli enti pubblici territoriali (comuni, province, regioni) in strumenti finanziari derivati a fine 2007 ammontavano a 35 miliardi di euro. In rapporto al debito degli enti, queste operazioni arrivano oggi a pesare quasi il 50%, aumentando dunque di molto i rischi di default.
Il Governo, nel disegno di legge collegato al decreto estivo ha inserito una previsione esplicita per arginare il fenomeno. Nell’art. 72 si intuisce un’importante novità: il tetto massimo di spesa dello stato, regioni, province e comuni.
La finanziaria fino ad oggi stabilisce “il livello massimo del ricorso al mercato finanziario e del saldo netto da finanziare in termini di competenze”, ora si aggiunge “del fabbisogno del settore statale, dell’indebitamento netto della pubblica amministrazione, articolato pro quota per i livelli di governo”.
Sull’indebitamento degli enti locali dunque la decisione ultima ora spetterà al Tesoro.
Il problema oggi si inserisce in un quadro diverso. Per il riconoscimento di una effettiva autonomia delle Regioni occorre realizzare il federalismo fiscale, trasferendo le risorse finanziarie dal centro alla periferia, assegnando agli enti locali un ruolo centrale nel trovare il giusto equilibrio tra autonomia, equità ed efficienza.
Giustamente di per sé l’imposizione di vincoli di spesa rigidi non può essere lecita. Si deve infatti pensare che la necessità di spesa può fisiologicamente subire profondi modificazioni nel corso dei vari periodi, non solo nel caso di fenomeni straordinari, ma probabilmente anche per la ricerca contingente di una migliore qualità dei servizi da offrire ai cittadini in un determinato momento.
Ci sono però dei principi inviolabili. Le regioni non possono lamentarsi dei tagli in Finanziaria e, al tempo stesso, dilapidare tonnellate di denaro a scopi clientelari o propagandistici.
Fino ad oggi a queste contraddizioni si è accompagnata un’idea di federalismo fiscale male interpretato: il costante incremento della imposizione fiscale diretta.
L’incremento costante delle imposte di competenza regionale, delle addizionali.. sono un reale fastidio per i contribuenti che lo percepiscono come un vero e proprio ostacolo alla crescita produttiva. E’ inutile che lo Stato riduca le imposte se tanto poi regioni, province, comuni, fanno l’opposto!
La novità contenuta nell’articolo 72 del disegno di legge collegato al decreto estivo, nello stabilire livelli massimi di spesa celebra la volontà del Ministro di arginare il ricorso “sportivo” ai derivati degli enti locali.
Il tutto va visto come “misura-ponte” in attesa del federalismo fiscale.