Gli attentati, la riforma presidenziale di Erdogan e l’incognita referendum
05 Gennaio 2017
di Elisa Moro
Inseguendo il suo progetto neo-ottomano di stampo sunnita, Erdogan trova una curiosa alleanza diplomatica e militare con la Russia e l’Iran sciita. La Turchia, oggi, ha dunque nuovi amici ma si allarga il numero dei vecchi e nuovi nemici, dopo che ai curdi del PKK e alla rete di Fethullah Gülen (accusata da Erdogan di essere artefice del fallito colpo di stato di luglio), si sono aggiunti i jihadisti dello Stato islamico. Eppure, è stato proprio per arginare l’irredentismo curdo, considerato da Erdogan una grave minaccia all’unità nazionale turca, che il ‘sultano’, dopo aver teso una mano ai “ribelli” sunniti in Siria, ha abbandonato il fronte della opposizione al regime di Damasco, ritenendo più efficace, per il contenimento dello storico avversario curdo, l’alleanza con Putin, grande protettore della casata degli Assad.
In questo contesto va inquadrato l’attacco di matrice jihadista contro il nightclub Reina a Istanbul, la notte di Capodanno. Nel testo della rivendicazione dell’attentato, diffuso in lingua turca oltre che in arabo, si fa un chiaro riferimento alla guerra in Siria. Quello turco è un governo “apostata”, che ha versato “il sangue dei musulmani per i bombardamenti dei suoi aerei”, e dunque “porteremo il fuoco nella tua casa”. Minaccia più chiara di così non poteva esserci per Ankara, che, dopo il cambio di fronte in Siria, viene inserita nella lista dei governi ‘traditori’ dalla internazionale jihadista. Erdogan si trova quindi in un momento delicato della sua vita politica. Il fallito golpe di luglio e i buchi nell’intelligence e nella sicurezza, generati dalle continue purghe di regime contro le “strutture della forza” turche, hanno determinato un numero impressionante di attacchi e attentati sanguinosi nel Paese, favorendo, tra le altre cose, le infiltrazioni del jihadismo più radicale e fondamentalista.
Nel primo intervento pubblico dopo l’attentato di Capodanno, Erdogan ha detto che il nemico esterno vuole “polarizzare” la società turca, ma in realtà, fino adesso, sul fronte interno, è stata proprio la strategia politica seguita dal leader islamico a portare verso una spaccatura verticale della Turchia. La deriva autoritaria presa dopo il fallito colpo di Stato, si completa nella volontà mostrata da Erdogan di modificare l’assetto costituzionale della Turchia moderna, repubblica parlamentare sin dal 1923, anno in cui fu fondata da Atatürk. La proposta di riforma è già stata sottoposta al Parlamento nel dicembre scorso e sottoscritta da tutti i 316 deputati dell’AKP, il partito di governo. Secondo la legge turca, la proposta ora dovrà sottostare al ballottaggio parlamentare segreto e, qualora raggiungesse i 330 voti, si aprirebbe la via al referendum.
L’esito del ballottaggio dovrebbe essere abbastanza scontato, dato che il passaggio parlamentare fa seguito all’accordo fra AKP e MHP, il partito della destra ultranazionalista, che in Parlamento conta 40 seggi. Solo laddove ottenesse i 2/3 dei voti favorevoli la riforma passerebbe senza il bisogno della consultazione referendaria; Erdogan tuttavia ha tenuto a precisare che il referendum si terrà comunque. Ma proprio alla luce della situazione che abbiamo descritto, se i turchi sunniti non perdoneranno al sultano il cambio di schieramento sul fronte siriano, non è detto che accettino la modifica del tradizionale assetto parlamentare in favore di una repubblica presidenziale, così come annunciata dal ministro della giustizia Bekir Bozdag; progetto che, in estrema sintesi, mira al rafforzamento dell’esecutivo con a capo il Presidente della Repubblica. Cioè la fine della separazione dei poteri.
Erdogan punta quindi a rafforzarsi grazie alla investitura popolare ottenuta con il referendum, presentandosi come l’unico leader in grado di garantire sicurezza al Paese. Ma gli attentati continui, correlati al cambiamento di rotta nelle scelte di politica estera, potrebbero rivelarsi anche un ostacolo a quel progetto che mira a dare al ‘sultano’ un “potere quasi assoluto” dentro un sistema mascherato da democrazia.