La produttività del lavoro è il vero gap dell’Italia
04 Giugno 2022
Quel po’ di ottimismo post-covid che aveva preso a circolare sulla ripresa economica si infrange contro l’invasione russa della Ucraina. Guerra, inflazione e rischio recessione sono l’ipoteca sulla ripartenza del nostro Paese dopo la pandemia. Se non si è ancora innescata una vera rincorsa tra prezzi e salari, la congiuntura sembra allontanare comunque la crescita decisa che tutti auspicavamo.
Sembra la tempesta perfetta
Il conflitto in Ucraina si incancrenisce, i prezzi al consumo aumentano, materie prime e componentistica iniziano a scarseggiare. Paghiamo anni di errori nelle politiche energetiche. La soluzione non può essere altro debito pubblico. Non si può immaginare che i lavoratori di oggi recuperino potere di acquisto scaricando il prezzo sulle generazioni future. Per non dire dell’incidenza dei costi sul debito nei nostri conti pubblici.
Bce e tassi di interesse
Le politiche monetarie basate sull’innalzamento dei tassi di interesse, la stretta monetaria e il taglio dei bilanci possono interrompere la spirale inflattiva ma non sono la soluzione contro le recessioni. Il nostro Paese ha bisogno di crescere, riconquistare la produttività perduta in un quarto di secolo, ridurre il peso del fisco e della burocrazia e usare gli investimenti pubblici per creare vera innovazione.
Recuperare la produttività del lavoro perduta
Uno dei nodi principali da sciogliere è quello della produttività del lavoro. Nel settore privato, dalla metà degli anni Novanta ad oggi la produttività è cresciuta solo del dieci per cento, contro il quaranta della Germania e il trentacinque di media europea. Il nostro lavoro produce meno che altrove, abbiamo le peggiori prestazioni europee in termini di produttività, comprese quelle dei Paesi che hanno avuto uno sviluppo economico più recente. Negli ultimi trent’anni i salari in Italia sono rimasti fermi, mentre in Francia e Germania sono cresciuti del trenta per cento; il peso di tasse e contributi sul costo del lavoro nel nostro Paese è ancora superiore alla media europea.
Trasferimento tecnologico decisivo
Oggi il compito della politica è dare più certezze al mondo delle imprese e del lavoro. L’Italia deve diventare più attrattiva agli occhi degli investitori internazionali con sgravi più decisi per chi arriva nel Paese. Gli sgravi vanno concentrati nei settori strategici a più forte opportunità di aggregazione e di crescita, come meccanica e meccatronica, energia e turismo. Infine dobbiamo usare il Pnrr per fare investimenti infrastrutturali, che vuol dire strade, ponti, alta velocità e anche scuole, ricerca e università. Il trasferimento tecnologico da università e istituti di ricerca al tessuto produttivo circostante è decisivo.
Innovazione e sburocratizzazione possono aiutare la produttività del lavoro
L’innovazione, gli investimenti in ricerca e sviluppo sul modello di Industria 4.0 sono gli strumenti per recuperare il terreno perduto in chiave di produttività del lavoro. Occorre riformare il mercato del lavoro dando un equilibrio dinamico alla flessibilità, attraverso la riqualificazione delle competenze e con il taglio del cuneo. Alla complessità burocratica fatta di meccanismi ripetitivi, colli di bottiglia normativi e amministrativi, bisogna rispondere con l’adagio liberale secondo cui si può fare tutto ciò che non è vietato.
Un liberalismo nuovo
Le imprese possono conservare la fiducia a investire se la liquidità immessa nel sistema negli ultimi anni non verrà tolta drasticamente, se le normative aiuteranno il sistema a diventare più produttivo, se verranno ridotte le tasse e useremo il piano di resilienza per attrarre gli investitori stranieri. Per riuscirci occorre una classe dirigente forte e una idea nuova di sviluppo liberale della società italiana. Tagliare i costi e creare nuove opportunità di crescita per chi genera ricchezza e lavoro. Incentivare territori e competenze che sanno farlo.