L’aborto ruba vite all’intera umanità
05 Ottobre 2008
“La bruciante fiamma dello spirito nutre oggi un dolore dirompente, il nipote non nato.” Così termina la poesia “Grodeck”, nella quale Georg Trakl evoca il terrore della Prima Guerra Mondiale. Mezzo secolo più tardi e dopo l’orrore infernale del genocidio praticato sugli ebrei, in una circostanza rimasta storica per il Parlamento tedesco, abbiamo ascoltato la denuncia dei “milioni di bambini del mio popolo i cui nomi non conosciamo… Quanti libri che non sono mai stati scritti sono morti con loro! Quante sinfonie che non furono mai composte sono rimaste strozzate loro in gola! Quante scoperte scientifiche non sono potute maturare attraverso la loro intelligenza! Il nazionalsocialismo non li ha strappati solo alle loro famiglie e alle loro comunità, ma all’intera umanità.” Ezer Weizmann, il Presidente dello Stato d’Israele, pronunciò queste parole nel 1996 davanti al Parlamento tedesco a proposito dei bambini del suo popolo.
Se oggi, il 22 settembre scorso, quasi mille bianche croci di legno sono state portate dall’Alexanderplatz alla cattedrale di Sant’Edvige, a Berlino, è accaduto perché, così facendo, si ricordassero le migliaia di bambini del nostro popolo cui, giorno dopo giorno, è stata rubata la vita prima che potessero venire alla luce. Il sottrarsi ad un carico di nove mesi, scelto rispetto al sempre possibile ricorso all’adozione, viene considerato motivo sufficiente per annientare un’intera esistenza umana e per cancellare per sempre un cammino di vita appena iniziato.
Coloro che hanno partecipato alla processione berlinese, come avviene per tutti i dissidenti nei regimi semitotalitari, sono stati derisi come emarginati stravaganti, come “fondamentalisti”, oppure sono stati ignorati in quanto gruppo marginale. Il tema, per i media, ha stancato, viene considerato come fritto e rifritto. Ma la verità e tutt’altra, ciascuno di quei bambini – “il mio bambino” lo chiama praticamente ogni donna incinta – è un unico, un imparagonabile, in rapporto al quale si pone con impeto la questione “essere o non-essere”, che non può essere sminuita da alcuna riduzione d’interesse da parte dei media. Ogni donna che si trovi in situazione di difficoltà dovrebbe poter contare sulla stringente solidarietà della società, soprattutto quando deve decidersi per la vita. O meglio, quando ha la coscienza che non c’è più alcuna decisione da prendere che non sia quella di prendersi cura del bambino, perché lui, affinché la sua esistenza prosegua, dipende ormai solo dalla presenza e dall’aiuto della madre.
Non molto tempo fa un medico stava parlando ad un pubblico interessato sul tema aborto e sulla questione dei possibili motivi per praticarlo. Illustrò la situazione di una donna tisica con tre figli, un marito artista e alcolizzato, in una condizione di frequenti difficoltà finanziarie: quella donna era in attesa di un altro bambino. Il pubblicò espresse una posizione pressoché unanime: si trattava di un chiaro caso di impedimento sociale. Il commento del medico è stato: “In questo modo avete ucciso Beethoven”. Magari nessuna di quelle mille croci berlinesi sarà riferita a quello che avrebbe potuto essere un futuro Beethoven, ma ciascun bambino è unico, proprio come lo è stato Beethoven.
(da "Junge Freiheit" del 26 settembre 2008. Traduzione dal tedesco di Vito Punzi)