Se il razzismo si fa alla rovescia
05 Ottobre 2008
Un grave episodio di discriminazione razziale, al limite del razzismo, è accaduto nel disgraziato e famigerato – non per colpa del suo popolo – quartiere napoletano di Pianura.
Un uomo innocente è stato arrestato, pare proprio a causa del colore della sua pelle. I carabinieri lo hanno tradotto in stato di custodia innanzi al Tribunale per il giudizio direttissimo, con l’accusa di aver travolto e spinto a terra, procurandogli lesioni, un graduato dell’Arma che cercava d’impedirgli di aggredire con violenza un uomo dalla pelle di colore diverso. Tale versione dei fatti è stata confermata, davanti al giudice, dallo stesso maresciallo che aveva subito la violenza. Tutto sembrava chiaro, anche perché in Italia le dichiarazioni e le testimonianze rese dagli appartenenti alle forze dell’ordine – come è giusto – sono assistite da una presunzione di attendibilità che quasi non ammette prova contraria. L’imputato era avviato dunque a una giusta e meritata condanna, nonostante si dichiarasse accoratamente innocente. Ma neppure stavolta il diavolo è riuscito a fare il coperchio per la sua pentola.
Infatti, caso ha voluto che i fatti fossero fotografati integralmente da un fotore-porter – presente perché tutto è accaduto a margine di una manifestazione di immigrati «di colore» (oggi si deve dire così) –, che ha realizzato immagini precise e dall’ottima definizione. Tali fotografie erano, sin dalla sera prima del giudizio, reperibili on line sui siti dei principali organi di stampa nazionali. Il difensore, allora, le ha fatte stampare e poi durante la sua testimonianza le ha sottoposte in visione al carabiniere, perché confermasse che esse raffiguravano esattamente e proprio quanto da lui narrato. Senza battere ciglio, e dopo aver dato un’occhiata sommaria – era troppo sicuro di sé? – il maresciallo si è immediatamente riconosciuto (non senza manifestare una compiaciuta soddisfazione: «sono io questo, sono proprio io!») e ha riconosciuto che esse ritraevano proprio l’accaduto. Peccato che le parti in commedia risultavano esattamente invertite. E cioè, l’uomo arrestato e accusato di essere l’aggressore figurava in modo chiarissimo ben lontano dal carabiniere e dal preteso aggredito. Mentre era proprio questi che il carabiniere cercava di trattenere abbarbicandosi a lui, per finirne travolto, come una foto attestava senz’ombra di dubbio, così come attestava che l’arrestato era ben lontano dai due. Insomma, sembra quasi che il vero aggressore non «potesse» essere arrestato per il colore della sua pelle e che forse proprio a causa di questo fosse stato arrestato l’altro uomo. Per sua fortuna, è passato di là un fotografo, che ha fatto – e bene – il suo mestiere. Perché, nonostante le foto, il PM non ha esitato a chiedere la condanna dell’imputato alla pena di due anni e quattro mesi di reclusione: di fronte ai fatti egli, come si dice pensasse Hegel («tanto peggio per i fatti»), preferiva la loro rappresentazione ideologicamente orientata. Kafka sembrava trionfare, anzi sembrava un dilettante, a fronte di quanto stava accadendo, come sostenuto dal difensore nella sua discussione della causa. Ma Kafka non ha vinto, ha vinto la giustizia: nonostante la parola del carabiniere e il colore della sua pelle, l’imputato è stato assolto.
Dimenticavo di precisare: l’imputato era un bianco, e il vero aggressore un nero (si può dire così?).