Con Foster Wallace se ne va un grande talento della letteratura americana

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Con Foster Wallace se ne va un grande talento della letteratura americana

15 Settembre 2008

Scompare suicida in Claremont, California, David Foster Wallace, 46 anni, uno dei talenti più luminosi che negli ultimi venti anni la letteratura contemporanea abbia espresso.

Messosi in luce sul finire del revival letterario degli anni ’90 che accompagnò l’era clintoniana, Wallace era nato ad Ithaca, Stato di New York, nel 1962 e vissuto ad Urbana, Illinois. Figlio di un allievo di Irvin Malcom, biografo di L. Wittgenstein, cominciò a scrivere il suo primo romanzo e i racconti che composero poi la raccolta “La ragazza dai capelli strani”, mentre era sulle orme del padre e studiava filosofia.

Stravagante e complesso l’uomo che amava indossare la bandana e camicie da matematico, stravagante e complessa la sua letteratura, a partire dai titoli dei suoi libri, che avendo tra le mani inevitabilmente facevano incresparti le sopracciglia.

“La scopa del sistema” (Fandango, 1999), “La ragazza dai capelli strani” (Minimum Fax, 2003), “Infinite Jest” (Fandango, 2000) (un lucido delirio di 1.400 pagine il cui titolo è praticamente impossibile da tradurre), “Una cosa divertente che non farò mai più” (Minimum Fax, 2001), “Tennis, Tv, Trigonometria, Tornado (e altre cose divertenti che non farò mai più)” (Minimum Fax, 1999), “Brevi interviste con uomini schifosi” (Einaudi, 2000), “Verso Occidente l’Impero dirige il suo corso” (Minimum Fax, 2001), “Oblio” (Einaudi, 2004), “Tutto e di più. Storia compatta dell’infinito.” (Codice, 2005), “Considera l’Aragosta” (Einaudi, 2006).

Anticonformista, maledettamente puntuale, uno scrittore capace di far arrivare al senso del narrato da subito, in poche righe e di guadagnarsi ciò nonostante l’incondizionato abbandono del lettore per un viaggio di migliaia di pagine, accompagnandolo senza mai annoiare, solamente per la grazia concessa di perdersi nel suo stile giustamente definito da Jay Mc Inerny, il padre dei giovani romanzieri americani, ‘pirotecnico’.

Parlava con un taglio crudele la tua lingua di trenta-quarantenne convinto che la Tv oramai necessiti di una seria esegesi, per segnalarti ogni volta l’illuminante importanza di qualche particolare in più preso la domenica mattina guardando vecchie serie dei ’70-’80 sulle locali e aiutandoti così a spalancare nostalgia e conoscenza anche dentro l’endemica incapacità di comunicare che la nostra ipertecnologica società della comunicazione si porta dentro.

Chiediamo "alla nostra arte di tenere una distanza ironica da profonde convinzioni o domande disperate, costringendo così gli scrittori contemporanei a ridicolizzarle o a cercare di farle passare camuffandole con qualche trucco formale come citazioni intertestuali o accostamenti incongruenti, relegando le cose veramente pressanti fra asterischi come parte di qualche artificio polivalente di defamiliarizazione o qualche cagata del genere".

Ironia, comicità, sarcasmo e crudeltà, gli aspetti grotteschi del quotidiano, la tecnica di scrittura erano gli ingredienti attraverso i quali andavano in scena i suoi personaggi, attraverso le lenti trasfiguranti di un giovane scrittore che raccontava di un Occidente ancora in bilico, ma a stento, sopra la cima pericolosa di un iperrazionalismo senza altre vie di sbocco al nichilismo.

Un nichilismo che lo ha evidentemente divorato.

Paradossale e drammatico appare in questi momenti in cui si scrive pensare ad uno dei romanzi brevi che compongono “Oblio” – “Caro vecchio neon” – ovvero il racconto in flash back degli ultimi momenti di vita di un tizio che autoconvintosi di essere un impostore si toglie la vita.

Indubbiamente è stato proprio a partire da “Oblio”, che la capacità preziosa che aveva Wallace di riuscire a bilanciare abilmente talento e tecnica narrativa, cervello e cuore, dando ad entrambi lo stesso spazio, ha cominciato a rimanere oscurata da un umor nero quasi senza confini che ha evidentemente lasciato il segno.

David Foster Wallace pur morendo giovane, il suo posto nella storia della letteratura di quella  instancabile fabbrica di cultura che sono gli Stati Uniti d’America se l’era già guadagnato, nel solco di quella fortunata tradizione estetica “postmoderna”, che da Pynchon a Barth, ha offerto una potente chiave di lettura dei nostri tempi in cerca di riferimenti, ma per quanto ciò ne accresca l’autorevolezza, per quanto sempre uguale per noi rimarrà il gusto per la sua lettura, resta la rabbia per un gesto così inspiegabile e per uno spreco così rimarcabile.