Ma perché nessuno capisce mai le mie buone intenzioni?
16 Agosto 2008
È da mercoledì che non ci facciamo una giornata di mare seria, e per essere in Sardegna è quasi un’offesa.
Decidiamo di andare in spiaggia appena svegli.
Torniamo a Capo Coda Cavallo che tra i posti in cui siamo stati è quello che ci è piaciuto di più. Appena arriviamo ci buttiamo nel mare. L’acqua è incredibile e nuotarci è bellissimo. Mi piace sopratutto andare sotto e aprire gli occhi, e vedere le mie braccia che nuotano e i raggi del sole che trafiggono il blu. Potrei passarci delle ore. Solo che dopo un po’ mi bruciano gli occhi e sono costretto a uscire.
Quando arrivo all’ombrellone vengo letteralmente disgustato da due ragazzi, evidentemente gay, che si baciano davanti a tutti.
Ma non esistono delle spiagge apposite per loro qui in Sardegna? Ti pare a te che questi devono venire a fare le loro cose qui davanti a me?
Faccio notare la cosa a Giovanni, che sorride e non dice niente.
Dopo un po’ scorgo in lontananza un’altra coppia, questa volta etero, e vederli mi fa sorridere.
Mi mette allegria vedere un ostentazione d’amore così serena.
Riguardo i gay, e a guardarli così anche loro sono carini.
A pensarci bene non è che avessero fatto niente di diverso dall’altra coppia: anche la loro era un’espressione d’amore serena, si sono sbaciucchiati un po’ e pace.
Ma allora che c’era che non andava?
Vuoi vedere che sono razzista? Adesso mi ci mancava pure il razzismo.
No, devo dimostrargli che non ce l’ho con loro.
Mi alzo e vado verso il mare: voglio fare un bagno, e mentre passo cerco di incrociare il loro sguardo per fargli un sorriso d’approvazione.
Niente non mi guardano.
Apro le braccia facendo finta di sgranchirmi, occupo uno spazio enorme con la mia stazza, eppure ancora niente.
Cerco di sfiorare la gamba di quello esterno mentre passo, ma prendo male la mira e ci inciampo sopra.
“Aiah” dice lui.
A me intanto è partito il sorriso d’approvazione comandato in precedenza e sembro un perfetto imbecille.
“Scusate” cerco di riprendermi, ma quel sorriso mi fa sembrare anche sadico.
L’ennesimo episodio razzista avranno pensato giustamente quei due. Vaglielo a spiegare che il mio voleva essere un gesto carino.
Basta, già mi hanno stufato questi gay. Tiro dritto verso il mare e faccio il bagno.
La sera decidiamo di uscire a San Teodoro: “Siamo qui da una settimana e ancora non ci siamo mai stati, poi è sabato sera, sarà sicuramente pieno di gente” aveva proposto Marta, e infatti è così. C’è talmente tanta gente che non si cammina per le strade. Un po’ come a Trastevere la settimana scorsa, solo che con una forte sensazione di vacanza addosso, e sugli altri.
Tutti sono abbronzati, sereni, e lenti. Poi le bancarelle vendono costumi e pareo, e tutti portano qualcosa di corto e comodo.
Entriamo in un locale evidentemente ricavato da una villa: c’è un prato enorme sul quale sono disposti cuscini e tappeti oltre che piccoli tavolini bassi, e nella sala d’ingresso un bancone da bar e una lampada da terra rossa sono gli unici componenti dello scenario. Per il resto potrebbe essere una villa abitata normalmente, anzi probabilmente lo è.
Ci sediamo su un tappeto in giardino e, di nuovo, vedo una coppia gay.
Questa volta devo fare come se niente fosse, decido. Ma non ci riesco, è più forte di me: sento che devo scusarmi con tutto il mondo omosessuale e cerco di nuovo il loro sguardo per dirgli qualcosa. Ma anche questi non si girano.
Dopo un po’ mi stufo e opto per una soluzione drastica: mi alzo, vado dentro e dico al cameriere di portare una bottiglia al loro tavolo: offro io.
Mi risiedo con gli altri e poco dopo arriva la coppia penso a ringraziarmi: “Scusa ma che cosa ti sei messo in testa carino?”.
“Niente volevo solo…”.
“Ma che niente non sei tu che hai mandato la bottiglia al nostro tavolo?”.
“Sì ma…”. “Ma cosa?” si girano l’uno verso l’altro e dicono: “Andiamo vieni”.
Resto interdetto e dispiaciuto, e Marta mi chiede: “Mariuccio ma che è successo? Che volevano?”.
“No ma soprattutto perché gli hai offerto una bottiglia di champagne?!” mi chiede Giovanni divertito.
“C’è qualcosa che ci devi dire?” rincalza Marta senza lasciarmi spazio.
Opto per il silenzio, scuoto solo la testa per la mia ennesima figuraccia.
Ma perché i miei gesti vengono sempre fraintesi?