Ecco che fine fanno i soldi mandati in Africa per gli aiuti umanitari

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Ecco che fine fanno i soldi mandati in Africa per gli aiuti umanitari

14 Agosto 2008

Che i leader africani in generale non siano modelli di onestà è cosa risaputa. L’African Research and Resource Forum, un’organizzazione non governativa del Kenya, ha indagato di recente sulle loro mogli e ne è risultato un dossier secondo il quale anche molte “first ladies” africane si servono della loro posizione per arricchirsi. Ad esempio, rimpinguano i loro conti bancari dirottandovi parte dei fondi delle associazioni filantropiche e delle organizzazioni non governative che presiedono.
 
Come se non bastassero i regali dei loro mariti: la signora Antoinette, moglie di Denis Sassou N’Guesso, presidente della Repubblica del Congo dal 1979 salvo che per cinque anni, annovera ad esempio tra i propri beni personali un appartamento nel centro di Parigi e una delle sue figlie è proprietaria in Francia di un albergo con piscina del valore di circa 10 milioni di euro.
 
Per questi e altri investimenti immobiliari all’estero, Sassou N’Guesso è stato indagato lo scorso anno dalla procura di Parigi su richiesta di due organizzazioni non governative francesi secondo le quali – e come non essere d’accordo – è impossibile che quei beni siano stati acquistati con ‘i risparmi di una vita’ e quindi si deve ipotizzare che siano stati pagati con fondi sottratti alle casse statali. Allora la procura della capitale francese aveva aperto un fascicolo anche su Omar Bongo Ondimba, presidente del Gabon dal 1967, che, sempre in Francia, ha acquistato nel corso degli anni 33 proprietà immobiliari, incluso un albergo di lusso sugli Champs-Elisées a Parigi.
 
A luglio sono stati denunciati, per la stessa ragione, altri tre leader africani: Blaise Compaoré, capo del Burkina Faso dal 1987, Eduardo dos Santos, presidente dell’Angola dal 1979, e Teodoro Obiang Nguema, presidente della Guinea Equatoriale, al potere anche lui dal 1979 grazie a un colpo di stato.
C’è da dire che sono tutti capi di stato che hanno avuto decenni a disposizione per accumulare i loro patrimoni. Invece l’ultimo dittatore della Nigeria, Sani Abacha, in soli cinque anni di regime, dal 1993, quando prese il potere con un colpo di stato, al 1998, anno della sua morte per infarto, aveva sottratto alle casse della Banca centrale nigeriana 2,2 miliardi di dollari, secondo alcune stime addirittura il doppio. Pochi mesi dopo la sua scomparsa una delle sue mogli fu fermata all’aeroporto internazionale di Abuja mentre stava per lasciare il paese portandosi appresso decine di valige zeppe di oggetti preziosi.
 
Il punto è che in effetti i leader africani finora avvicendatisi alla guida dei loro paesi difficilmente hanno resistito alla tentazione di approfittarne. In un’intervista rilasciata nel 1988 alla rivista francese Jeune Afrique, Sese Seko Mobutu, presidente dal 1965 al 1997 dell’attuale Repubblica Democratica del Congo, dichiarava: “mentirei se affermassi che non possiedo un conto in banca in Europa; mentirei anche se dicessi che quel conto non è ben fornito. È vero. Ho un sacco di soldi. Secondo i miei calcoli, meno di 15 miliardi di CFA in tutto (la valuta usata da molti stati africani ex colonie francesi: oggi 100 CFA equivalgono a circa 0,15 euro, N.d.A.). È una somma così esorbitante per una persona che da 22 anni è presidente di un paese tanto grande?”
 
15 anni dopo, i suoi successori esprimevano la stessa convinzione: controllare un territorio, con la forza o tramite un apparato statale, da diritto a disporne a proprio beneficio. Alla Commissione delle Nazioni Unite creata nel 2002 per individuare i responsabili del saccheggio e dello sfruttamento delle risorse naturali del Congo replicarono: “i congolesi possono fare ciò che vogliono del loro paese: poiché le sue risorse appartengono a loro, non si può parlare di saccheggio”.
 
Ricchi e quasi sempre ben pasciuti, tanti uomini politici africani concordano con i loro colleghi congolesi e talvolta mancano del senso della misura. In Kenya, dove a causa della siccità una grave ed estesa carestia minaccia la vita degli abitanti di almeno 10 distretti, il governo ha appena deciso di dichiarare lo stato d’emergenza e chiedere aiuto alla comunità internazionale. Per farlo non ha pensato di meglio che organizzare presso la residenza presidenziale un sontuoso banchetto al quale ministri e parlamentari si sono recati a bordo delle loro costose macchine di rappresentanza pagate con denaro pubblico (come pure, ovviamente, il suddetto banchetto il cui costo sarebbe bastato a placare la fame di migliaia di persone o, meglio ancora, a riparare e migliorare qualche sistema di raccolta delle acque piovane e di irrigazione, sufficiente a scongiurare in futuro il pericolo di carestia per gli abitanti di interi villaggi). Come se non bastasse, uno dei vice ministri presenti, l’onorevole Githau, ha pensato bene di prendere la parola per proporre ai propri connazionali affamati, in attesa dei soccorsi internazionali, di prendere esempio da altri popoli e mettersi a mangiare cani, gatti, topi, formiche, lumache, vermi, rettili, scimmie, rane….e qualsiasi altro animale disponibile. “Ci saranno topi a sufficienza?” si domandava il giorno dopo la scrittrice kenyana Rosemary Muganda in una lettera aperta al governo intitolata: “Onorevole Githau, siamo troppo affamati per andare a caccia di topi”.