
L’UE molla la presa sui piani di riduzione del debito

15 Ottobre 2022
Le stime di crescita del Pil della Banca d’Italia sono state riviste al ribasso: + 3,3% nel 2022, +0,3% nel 2023 e +1,4% nel 2024. Previsioni migliori di quelle del Fondo Monetario Internazionale, certo, ma non proprio ottimali considerando a situazione finanziaria complessiva del nostro Paese. È in questo contesto che va a inserirsi il dibattito sulla riforma del Patto di stabilità europeo.
I propositi della Commissione Europea e i Paesi membri
L’applicazione è sospesa fino al 2023, ma la Commissione vorrebbe farlo tornare in funzione a partire dall’anno successivo. Il tempo che ci separa da quella data sarà colmo di richieste di revisione e riforma, che a dire il vero sono diventate pressanti (e talvolta goffe) durante la pandemia. Per questo, il 26 ottobre la Commissione presenterà una comunicazione molto dettagliata sui cambiamenti auspicabili per il Patto e sulle modalità di funzionamento della sorveglianza. Questo sarà il punto di partenza del dibattito istituzionale tra i Paesi membri.
Quello che è certo è la frammentarietà del quadro complessivo. I Paesi frugali non sono più compatti come prima, la Germania è divisa tra i rigoristi liberali e comprensivi socialdemocratici, Macron in Francia è costretto a non sottovalutare l’agenda sociale che l’Assemblea nazionale invoca. Anche l’Italia è in una terra di mezzo perché non si sa molto del governo che verrà, se verrà. L’unico dato insindacabile è che la media dei debiti pubblici dell’Eurozona rispetto al Pil si attesta al 94,7% e che l’Italia arriva addirittura al 147,9%. Ricordando che Draghi l’ha diminuito di quasi dieci punti percentuali, per noi un po’ di lassismo in più o in meno cambierà poco: il margine di manovra continuerà a non esserci.
Patto di stabilità, che riforma?
Ciò che è comune a tutte le parti in causa è la convinzione dell’inapplicabilità della regola del rientro di 1/20 all’anno per la parte di debito pubblico/Pil eccedente il 60%. La riduzione sarà più graduale e, soprattutto, sarà diversificata in base al livello del debito pubblico dei singoli Stati. Il periodo di aggiustamento dovrebbe essere compreso tra i 3 e i 7 anni. L’indicatore sotto la lente di ingrandimento sarà la spesa pubblica primaria.
Sembra probabile, inoltre, che si replichi un meccanismo simile a quello che abbiamo visto per il PNRR. Ovvero, ogni Stato membro dovrebbe sottoscrivere una specie di contratto in cui dà conto delle riforme, degli investimenti e del percorso discendente della spesa pubblica. In sintesi, parliamo di una semplificazione delle regole a cui viene sommata una stretta del vincolo esterno.