Vudù, droga e Jihad, i mille traffici della mafia nigeriana
08 Ottobre 2008
Il 15 gennaio 2008 scatta “l’Operazione Viola”.
Ci sono le bande violente che agiscono alla luce del sole ed altre più impermeabili ed esclusive, legate al sistema lobbistico-criminale che fa capo alla patria nigeriana. A Brescia si chiamano “Eiye Supreme Lords”, a Torino “Black Axe”, ma ci sono anche i “Sea Dogs”, i “Pirati” e i “Bucanieri”. Entrare nel giro costa minimo 600 euro. Paghi e diventi schiavo del capoclan. I riti di iniziazione vudù somigliano a quelli delle mafie nostrane, un cocktail di sangue, alcool e onore. Si ottengono un grado, delle parole d’ordine, dei colori di riconoscimento (cappellini, sciarpe, eccetera). La polizia parla di sacrifici Juju: riti magici e primitivi che si mescolano a uno spregiudicato uso di Internet e delle nuove tecnologie. Stampano documenti falsi e clonano carte di credito. Organizzano spedizioni punitive a base di machete e mutilazioni (le “parade”). Su Youtube trionfano video rap intitolati “Nigeria Mafia” e nick del genere campeggiano su “Facebook” e “MySpace”.
Il maschio Alfa della mafia nigeriana di Castelvolturno rinchiude le sue donne nelle villette della Domiziana, le picchia, le stordisce a botte di Roipnol e birra prima di costringerle a battere sulla strada. In questo modo “il fidanzato” mette insieme una piccola fortuna da reinvestire in patria (1 dollaro vale circa 137 naira nigeriani). In Italia ci sono circa 15.000 nigeriani, in prevalenza donne. Le prostitute possono investire una parte dei loro guadagni per comprare altre ragazze da avviare al meretricio. In questo modo si affrancano più velocemente dai loro padroni. Violenti e arroganti, questi criminali espellono le altre comunità di migranti, ghanesi, liberiani e senegalesi. Tra le 6 vittime di Castelvolturno non c’era neppure un nigeriano, ma i Casalesi hanno colpito nel mucchio, uccidendo dei poveri cristi, proprio per lanciare un avvertimento alla mafia d’importazione. Di tutto questo non si parla nei salotti televisivi dove i migranti vengono descritti tutti come onesti lavoratori sfruttati dai kapò italiani, in una specie di sbronza orientalista. Mentre invece sono proprio i clan nigeriani a gestire la tratta di carne umana, monopolizzando la raccolta di pomodori.
Le gang curano ogni passaggio della tratta dei migranti: il reclutamento, i documenti falsi, il trasferimento attraverso i paesi africani e il deserto. Poi dalla Libia, dall’Algeria e dal Marocco, si passa in Spagna e in Italia, dove i clandestini vengono impiegati nei diversi traffici illeciti. Tra loro ci sono quelli che ingoiano gli ovuli di droga. Arrivano “a grappolo”, “a formica”, nel gergo poliziesco, per dire che è impossibile prenderli tutti. Lo scrittore Roberto Saviano ha descritto chiaramente questa potenza criminogena: “
Il rischio più grande per la nostra sicurezza è il terrorismo. Negli anni Novanta