Vudù, droga e Jihad, i mille traffici della mafia nigeriana

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Vudù, droga e Jihad, i mille traffici della mafia nigeriana

08 Ottobre 2008

Il 15 gennaio 2008 scatta “l’Operazione Viola”. La Mobile di Napoli e i Ros dei Carabinieri, in un’operazione congiunta con le polizie di altri grandi Paesi europei, arrestano 66 presunti affiliati alle cosche nigeriane. Tra i reati contestati  c’è l’associazione a delinquere di stampo mafioso, il narcotraffico, il sequestro di persona, la riduzione in schiavitù, lo sfruttamento della prostituzione. A farne le spese soprattutto i minorenni. Tre anni prima la Mobile di Brescia aveva ricostruito l’architettura della criminalità d’importazione. Sono gruppi che si costituiscono in Nigeria, su base etnica, formati spesso da studenti ideologizzati o persone di buona cultura. Dagli anni Ottanta hanno preso in mano il racket della droga e della prostituzione, con la complicità di politici e militari. Fanno affari in diversi settori grazie a una diffusa rete di cellule che agisce su base locale e transnazionale. Ogni gruppo è autonomo, indipendente.

Ci sono le bande violente che agiscono alla luce del sole ed altre più impermeabili ed esclusive, legate al sistema lobbistico-criminale che fa capo alla patria nigeriana. A Brescia si chiamano “Eiye Supreme Lords”, a Torino “Black Axe”, ma ci sono anche i “Sea Dogs”, i “Pirati” e i “Bucanieri”. Entrare nel giro costa minimo 600 euro. Paghi e diventi schiavo del capoclan. I riti di iniziazione vudù somigliano a quelli delle mafie nostrane, un cocktail di sangue, alcool e onore. Si ottengono un grado, delle parole d’ordine, dei colori di riconoscimento (cappellini, sciarpe, eccetera). La polizia parla di sacrifici Juju: riti magici e primitivi che si mescolano a uno spregiudicato uso di Internet e delle nuove tecnologie. Stampano documenti falsi e clonano carte di credito. Organizzano spedizioni punitive a base di machete e mutilazioni (le “parade”). Su Youtube trionfano video rap intitolati “Nigeria Mafia” e nick del genere campeggiano su “Facebook” e “MySpace”.

Il maschio Alfa della mafia nigeriana di Castelvolturno rinchiude le sue donne nelle villette della Domiziana, le picchia, le stordisce a botte di Roipnol e birra prima di costringerle a battere sulla strada. In questo modo “il fidanzato” mette insieme una piccola fortuna da reinvestire in patria (1 dollaro vale circa 137 naira nigeriani). In Italia ci sono circa 15.000 nigeriani, in prevalenza donne. Le prostitute possono investire una parte dei loro guadagni per comprare altre ragazze da avviare al meretricio. In questo modo si affrancano più velocemente dai loro padroni. Violenti e arroganti, questi criminali espellono le altre comunità di migranti, ghanesi, liberiani e senegalesi. Tra le 6 vittime di Castelvolturno non c’era neppure un nigeriano, ma i Casalesi hanno colpito nel mucchio, uccidendo dei poveri cristi, proprio per lanciare un avvertimento alla mafia d’importazione. Di tutto questo non si parla nei salotti televisivi dove i migranti vengono descritti tutti come onesti lavoratori sfruttati dai kapò italiani, in una specie di sbronza orientalista. Mentre invece sono proprio i clan nigeriani a gestire la tratta di carne umana, monopolizzando la raccolta di pomodori.

Le gang curano ogni passaggio della tratta dei migranti: il reclutamento, i documenti falsi, il trasferimento attraverso i paesi africani e il deserto. Poi dalla Libia, dall’Algeria e dal Marocco, si passa in Spagna e in Italia, dove i clandestini vengono impiegati nei diversi traffici illeciti. Tra loro ci sono quelli che ingoiano gli ovuli di droga. Arrivano “a grappolo”, “a formica”, nel gergo poliziesco, per dire che è impossibile prenderli tutti. Lo scrittore Roberto Saviano ha descritto chiaramente questa potenza criminogena: “La Nigeria è diventato uno snodo nel traffico internazionale di cocaina e le organizzazioni nigeriane sono potentissime, capaci di investire soprattutto nel ‘money transfer’, i punti attraverso i quali tutti gli immigrati del mondo inviano soldi a casa. Attraverso questi, i nigeriani controllano soldi e persone. Da Castel Volturno transita la coca africana diretta soprattutto in Inghilterra”.

Il rischio più grande per la nostra sicurezza è il terrorismo. Negli anni Novanta la Nigeria settentrionale è diventata una base dell’integralismo jidadista. Ci sono praticamente tutti, salafiti, filotalebani e seguaci di Khomeini, ma anche le confraternite attive sul Delta del Niger che colpiscono le multinazionali del petrolio. In un video dell’11 febbraio 2003, Bin Laden ha messo la Nigeria tra i regimi apostati che andrebbero “liberati” da Al Quaeda. L’arresto del tecnico informatico Mohammed Naeem Khan, avvenuto in Pakistan l’anno dopo, ha confermato che esistono legami via Internet con la Base di Osama. La Nigeria è uno dei paesi preferiti dagli operativi di Al Quaeda per trovare hosting fidati con cui ammaestrare i novizi e lanciare proclami religiosi. Lo spaccio di droga e la prostituzione sono altri due canali privilegiati per finanziare il Jihad nel cuore di Dar Al Arb, l’Europa e gli Stati Uniti, la “Casa della guerra”.