
Per “Repubblica” anche la spy story Telecom è colpa di Berlusconi

21 Luglio 2008
Si sono formalmente chiuse le indagini relative ai dossier illeciti ‘formati’ all’ombra di Telecom.
Da questa mattina gli ufficiali di polizia giudiziaria stanno notificando ai difensori di 36 indagati il corposo avviso, 370 pagine circa, relativo al termine dell’inchiesta. Con l’atto di notifica i legali potranno cominciare a prendere visione delle carte dell’inchiesta.
Una vicenda dai contorni ancora molto difficili da delineare. A cominciare dalla mancata inclusione nell’inchiesta dell’ex presidente e dell’ ex ad di Telecom, ossia Marco Tronchetti Provera e Carlo Buora.
In pratica, per i giudici di Milano, il noto Giuliano Tavaroli spiava in proprio e ai danni di Telecom e per fare questo prendeva parcelle da capogiro, svariati milioni di euro pagati dalla stessa Telecom, oltre a disporre di budget pressochè illimitati. Il tutto all’insaputa dei vertici amministrativi dell’azienda.
Questa illogicità dell’impianto accusatorio da parte della procura di Milano, che qualcuno ipotizza essere conseguenza della contiguità politica tra il “Corriere” e quegli uffici giudiziari, ha scatenato nella giornata di lunedì le ricostruzioni politiche del caso Telecom.
E “Repubblica”, che è il diretto concorrente del “Corriere” ha in pratica intervistato il protagonista negativo dell’intera vicenda: proprio Giuliano Tavaroli.
Il quale, ricostruendo dagli albori la propria carriera di ex esperto dell’anti terrorismo ai tempi del compianto generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, nonché la nascita delle intercettazioni telefoniche private “made in Telecom”, ha, da una parte, tirato in ballo con tutte le scarpe l’ormai fuori gioco Tronchetti Provera, e, dall’altra, fornito una spiegazione a questa rete illegale di spionaggio privato: “Tronchetti voleva il Corriere della sera tutto per sé e aveva paura dell’ositlità del governo di Berlusconi”. Ergo? Faceva spiare tutto e tutti.
A questo punto della ricostruzione il noto cronista di punta della giudiziaria di “Repubblica”, Giuseppe D’Avanzo, riesce quindi a coinvolgere anche Berlusconi e tutto il suo entourage in quella che l’inchiesta sin qui svolta dalla procura di Milano ha ricostruito come una vicenda tutta interna al gruppo di potere di Telecom e di Pirelli.
E usa l’espressione “network eversivo” per dipingere il governo Berlusconi due, insediatosi nel 2001, descritto come “una famiglia impenetrabile, gente che è insieme, gomito a gomito, dai banchi di scuola, gente che pensa soltanto agli affari e all’assalto alla diligenza”.
Ecco quindi pronto un nuovo teorema: Tavaroli spiava per il bene della Telecom, con la bendizione di Tronchetti Provera, per aiutarlo a scalare la Rizzoli e per fronteggiare l’ostilità del network eversivo che fà riferimento all’attuale capo del governo.
Inutile dire che nei faldoni dell’inchiesta questa tesi praticamente non esiste. Da oggi i giudici di Milano hanno un input preciso su come pilotare il processo che si aprirà in autunno.
Perché in Italia i gruppi editoriali non solo si fanno la guerra sporca tra di loro utilizzando ex carabinieri e sistemi di security privati del tutto incontrollabili come quello scoperto dentro alla Telecom. Ma cercano anche, in maniera piuttosto spudorata, di influenzare politicamente l’azione della magistratura inquirente e giudicante. E questo sempre per inconfessabili scopi privati. “Repubblica” tira in ballo nel “network eversivo” di Berlusconi, oltre all’onnipresente ex direttore del Sismi Niccolò Pollari, anche l’ex capo dello stato Francesco Cossiga. Poi vengono fatti i nomi di Aldo Brancher e dell’ex ministro dell’Interno Beppe Pisanu.
Un tritacarne che non risparnia nessuno, attivato dagli interessi privati del gruppo di potere industriale e politico di riferimento di D’Avanzo e del suo giornale. Ma in questo caso difficilmente si sentirà qualcuno invocare la formula del “conflitto di interessi”.