Da Bobò alle infradito cantanti, Milano non delude
24 Novembre 2024
E così ci ritroviamo a Milano, “la città più vivibile d’Italia” per chi può permettersi dieci, quindici, trentamila euro al metro quadro. Dove aumenta la popolazione e calano le nascite. Mentre clan calabresi e broker cinesi che riciclano denaro sporco si fanno le scarpe a vicenda, sulla pelle del pensionando poliziotto Amore.
Delbono non delude
Milano non delude. Al Piccolo, Delbono racconta Il Risveglio, anche se forse avrebbe potuto chiamarlo la Nostalgia: dai canti di guerra di Grace Slick al tanz theater del compagno d’arte Bobò, l’amico ritrovato, salvato e perduto. Quando usciamo dal Teatro Strehler parte la gara a ricordarsi i nomi degli altri ‘matti di paese’, da Bobò a Bebè, i De Rege della provincia italiana, con i loro soprannomi strani, vezzi e tic che restano impressi nella memoria.
Corriamo in tram gialli sferraglianti davvero belli al Teatro Fontana, dov’è in scena La Signora delle Camelie. La Marghe, fragile furbacchiona antieroina ottocentesca, si trasforma in una pasionaria femminista ante litteram. Il ritmo c’è, l’ironia pure, ma si poteva fare a meno del proclama sociologico finale intonato al conformismo dominante. Applausi composti per Ortoleva, che suonano come un “ok, rompete le righe, ora andiamo a bere” in qualcuna delle magnifiche enoteche adiacenti Corso Buenos Aires.
Nell’agenda piena zeppa di appuntamenti che sembra la playlist di un indie in cerca di redenzione, troviamo anche il tempo per visitare la mostra di Munch al Palazzo Reale. Malinconie nordiche, vampiresse che ti succhiano l’anima, (altri) risvegli agresti dopo la sbornia. Fino al gift shop, dove i cuscini con L’Urlo stampato sopra tolgono qualsiasi forma di angoscia, lasciando stemperare l’ansia nel packaging neodecorativo.
Angeli come Libra di DeLillo
In Bicocca diventata green, sostenibile e universitaria, c’è tempo per una tappa alla Cineteca Milano MIC per una rassegna di corti sperimentali sessantottini. Se Immagini disturbate da un intenso parassita è un delirio visivo in bianco e nero, un film che sembra uscito da un incubo e poi rimesso insieme con i pezzi mancanti, Schermi di Franco Angeli (1968-69, 16mm, B/N, muto, 15′) sembra anticipare Libra di Don DeLillo: il flusso di immagini tratto dai notiziari – Robert Kennedy che stringe mani, le marce per i diritti civili, i conduttori televisivi con lo sguardo serissimo il giorno dopo l’omicidio del presidente – si sgretola in una metamorfosi costante.
Quello che dovrebbe essere storicamente riconoscibile, nel corto di Angeli si disintegra in macchie fantasmatiche, evanescenti, ipnotiche, irregolari, come se il nostro vecchio televisore avesse perso la sintonia trasformandosi in un archivista impazzito. Il grado zero della visione. Pura videoarte. Come quando Lee H. Oswald in Libra si ferma per strada a guardare gli schermi impilati in un negozio di elettrodomestici.
A Milano l’installazione di Meriem Bennani
Questa settimana milanese si chiude in bellezza alla Fondazione Prada, dove Meriem Bennani trasforma 192 infradito in strumenti cantanti di piazza e rivolta musicale. Sole Crushing è una primavera araba riuscita, piena di ritmo e caos, una sinfonia di ciabatte che sbattono e danzano in un ordine perfettamente disordinato. Al piano superiore, For Aicha – il film d’arte diretto da Orian Barki e da Bennani, realizzato con la produzione creativa di John Michael Boling e Jason Coombs –racconta una storia familiare attraverso personaggi antropomorfi.
La lupa con il canino sporgente scheggiato si risveglia anche lei e rivela la sua omosessualità in uno struggente coming out ambientato tra New York e Casablanca. “Uno dei temi centrali di ‘For My Best Family’ è il saper stare insieme, chiedersi dove inizia e finisce una persona,” dice Bennani. “Il film si concentra su una madre e una figlia che imparano a stare insieme, mentre nell’installazione (Sole Crushing, ndr) il concetto è più astratto e si riferisce alla collettività in senso più ampio, momenti di incontro non verbali, nei quali sembra esserci una forza che prende le sembianze di un corpo multiforme”.
“Come un burattino, la moltitudine diventa una singola cosa, una singola voce, un singolo modo di agire, e tutti sanno esattamente che cosa devono fare in quel momento, a livello ritmico o canoro, per esempio come usare il proprio corpo e pestare i piedi”. Sembra di rivedere Bobò che balla, sordomuto e analfabeta, personaggio beckettiano che alla fine ti strappa un sorriso riconoscente.