
La Flat Tax compie 40 anni, breve storia di una rivoluzione fiscale

24 Maggio 2025
“Il principio di equità incarnato nella Flat Tax è che ogni contribuente paga le tasse in proporzione diretta al suo reddito. Man mano che i redditi raddoppiano, triplicano o decuplicano, gli obblighi fiscali raddoppiano, triplicano o decuplicano. Chi guadagna di più paga di più”.
Alvin Rabushka e Robert E. Hall
La Flat Tax si basa sui principi di proporzionalità, semplificazione ed equità ed è applicabile allo stesso modo a tutti i contribuenti. La Flat Tax può essere personalizzata in base a esigenze specifiche, con la selezione della base imponibile e dell’aliquota fiscale in base alle esigenze specifiche e quindi rispetta il principio di uguaglianza davanti alla legge. La Flat Tax è in netto contrasto con il progressivismo fiscale e alle aliquote progressive, che non solo sono determinate da una maggioranza che non è a sua volta soggetta a tale aliquota, ma capovolgono il principio della parità di trattamento. La Flat Tax è di grande attualità ed è stata attuata con successo in diversi paesi. Dovrebbe essere definitivamente introdotta anche in Italia.
Lo Stato di diritto è basato su un fondamentale principio che è quello della parità di trattamento dei cittadini davanti alla legge, ed è il fulcro di una società libera e democratica, la quale deve stabilire principi equi anche in materia di tassazione. Pertanto, la giustizia fiscale non è da ultimo soltanto una questione morale ma è tra quelle questioni di politica economica e sociale che sono sempre state fonte di aspre controversie. Ne La ricchezza delle nazioni (1776), il grande filosofo scozzese Adam Smith formulò quattro massime fiscali che sono ancora oggi considerate i principi fondamentali di un sistema di tassazione che obbedisce al principio di parità di trattamento davanti alla legge: Uguaglianza della tassazione in base alla capacità di pagare, Certezza della tassazione, Convenienza della tassazione per i contribuenti ed Equità nella riscossione delle tasse per lo Stato.
Tuttavia, nella maggior parte delle democrazie i sistemi fiscali sono incardinati su un principio di tassazione progressiva, che applica regole fiscali uniformi e uguali a persone fondamentalmente diverse e quindi produce risultati sociali ed economici molto diversi per questi individui. Al fine di ridurre queste differenze inevitabili che si vengono a creare nella situazione materiale degli individui attraverso la pressione politica e l’aiuto di una tassa altamente progressiva, i governi hanno iniziato a tassare non secondo le stesse regole, ma secondo regole diverse. Ciò si è tradotto in un effetto paradossale della progressività, che, invece di ridurre le disuguaglianze, incrementa le disuguaglianze esistenti. Nega anche la compensazione più importante per quelle disuguaglianze che inevitabilmente sorgono in qualsiasi economia di mercato. Il principio fondamentale della giustizia economica, che richiede la parità di retribuzione per lo stesso lavoro, viene così violato, creando un’ingiustizia fiscale che fornisce risultati politicamente desiderabili per certi individui, gruppi o coalizioni di interessi organizzati, con effetti collaterali per tutti gli altri.
È quindi assurdo, oltre che palesemente ingiusto, che le aliquote progressive determinate collettivamente, alle quali una minoranza è tassata in modo discriminatorio, siano stabilite da una maggioranza democratica, che a sua volta non è soggetta a queste aliquote. O corrisponde al principio di giustizia sociale che la maggioranza a reddito medio o basso decida gli oneri che devono essere sostenuti dalla minoranza? C’è una differenza tra l’avere una maggioranza che concede un’agevolazione fiscale a una minoranza a basso reddito, assumendosi così volontariamente oneri più elevati, e una maggioranza che impone oneri alla minoranza, che su quello non ha diritto di scelta.
Grandi pensatori del passato come Aristotele (384-322 a.C.), John Locke (1632-1704) o il nostro Ferdinando Galiani (1728-1787) e, più recentemente, il grande economista austriaco Friedrich A. von Hayek (1899-1992) concepivano il livello di tassazione come un mezzo fattibile per ridurre il ruolo dello Stato nella vita quotidiana dei suoi cittadini. Ma anche gli Stati limitati hanno l’obbligo di adempiere a un numero di funzioni fondamentali, tra cui la difesa nazionale, la sicurezza interna, l’assicurazione del funzionamento di mercati privati ben organizzati. L’adempimento di questi compiti impegnativi richiede evidentemente delle entrate pubbliche. La sfida liberale nel sostenere l’esistenza di uno Stato minimale sta quindi nell’individuare un sistema di tassazione che non solo minimizzi le distorsioni generate inevitabilmente da un’economia di libero mercato, ma, allo stesso, tempo che generi anche entrate sufficienti per raggiungere gli obiettivi pubblici necessari e appropriati.
Una flat tax, proporzionale al reddito o al consumo, sembra offrire l’opzione più attraente per raggiungere questi scopi, a causa del fatto che essa consente al governo che la introduce di fissare le entrate totali al massimo o al minimo livello necessario senza consentire a varie coalizioni di interessi organizzati di manipolare il sistema di tassazione per il proprio vantaggio politico di parte. Una Flat Tax ben amministrata permette anche di ridurre il carico fiscale complessivo, perché i contribuenti sono, in media, molto meno disposti ad evadere, così come la maggior parte dei policy-maker è meno disposta ad aumentare le tasse per gli altri se sono costretti ad aumentarle anche per loro stessi. Questa stabilità del sistema fiscale comporta notevoli risparmi amministrativi, poiché si elimina la necessità di monitorare i costosi regimi di suddivisione del reddito, come avviene per le società familiari e i trust, che permettono di ridurre le imposte da pagare trasferendo il reddito dei ricchi sui conti bancari dei loro parenti a basso reddito. La stabilità a lungo termine di un sistema a flat rende quindi più facile per gli investitori privati prendere decisioni razionali a lungo termine.
In altre parole, l’imposta proporzionale è concepita come un’imposta “preventiva”, in modo che il reddito sia tassato una sola volta, definitivamente alla fonte. Ha un’aliquota uniforme con una sola fascia di reddito, nonché un’aliquota marginale costante per tutti i livelli di reddito. Se si considera l’effetto redistributivo, un sistema di tassazione proporzionale senza deduzione alla base non comporta alcuna progressività fiscale, mentre uno con una deduzione alla base comporta un effetto di progressività indiretto, nel rispetto del dettato previsto dall’articolo 53 della Costituzione italiana. Le caratteristiche positive dell’aliquota fiscale uniforme sono la sua semplicità nella attività di riscossione e nell’amministrazione delle imposte, nonché la sua trasparenza oggettiva.
Eppure, nonostante i benefici amministrativi, morali e finanziari per i contribuenti derivanti dall’introduzione della flat tax siano chiari e facili da capire, la classe politica è sempre riluttante a caldeggiare riforme fiscali orientate secondo questa direttrice. La ragione di questa ritrosia non è probabilmente rinvenibile solamente in un pregiudizio ideologico, ma anche in una logica di calcolo del consenso. In definitiva, per dei politici razionali il timore di perdere il sostegno elettorale di alcuni gruppi d’interesse per effetto di una riforma del sistema fiscale, cioè attraverso lo smantellamento dei privilegi per alcuni gruppi, è generalmente molto più grande della loro speranza di conquistare nuovi elettori proprio attraverso la riforma desiderata. Fino a quando il calcolo del mero consenso e una narrazione ideologica sbagliata avranno la priorità sulla logica, sul rigore intellettuale e sul merito, il problema del pubblico che perde sempre più fiducia tra i cittadini peggiorerà rapidamente.
La Fondazione Magna Carta è stata tra le prime, nel 2011, a lanciare, con il contributo di due grandi economisti di fama internazionale della Hoover Institution e della Stanford University, il professor Alvin Rabushka e il professor Kurt Leube, una proposta di introduzione della flat tax in Italia, contenuta nel libro di Emanuele Canegrati “Una flat-tax per l’Italia: per un nuovo rinascimento fiscale“. Quel libro contribuì notevolmente a rafforzare la cultura della tassazione proporzionale del reddito. Fu proprio la rivoluzione culturale in tema di tassazione che si osservò in Italia nel secondo decennio del nuovo Millennio che permise l’introduzione di un nuovo sistema di tassazione proporzionale per i lavoratori autonomi. Una riforma che ancora oggi viene riconosciuta pacificamente come migliorativa dell’intero sistema tributario italiano. L’auspicio è che ora quello spirito rivoluzionario verso il paradigma del going flat, ovvero del propendere verso un sistema fiscale sempre più basato su criteri di proporzionalità, permetta di compiere il passo successivo e più fondamentale verso l’introduzione della flat tax sul reddito da lavoro dipendente.
The Flat Tax: The Tax Revolution di Alvin Rabushka e Robert E. Hall è stato pubblicato per la prima volta nel 1985 dalla Hoover Institution Press, Stanford University ed è stato ristampato innumerevoli volte. The Flat Tax: The Tax Revolution è disponibile in diverse lingue principali per il download all’indirizzo www ecaef.org.