Ora l’Obamanomics dovrà traghettare gli Usa fuori dalla crisi

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Ora l’Obamanomics dovrà traghettare gli Usa fuori dalla crisi

05 Novembre 2008

Barack Obama è il 44esimo presidente degli Stati Uniti d’America. La telefonata per le congratulazioni di rito è già arrivata, sia da parte dei John McCain, lo sconfitto repubblicano, sia da parte di George W. Bush, il presidente uscente. Dopo la lunga tornata elettorale, la maggioranza si domanda se l’Obamanomics, com’è stata ribattezzata, sarà in grado di traghettare l’America fuori dalla crisi finanziaria.

Nell’analisi che si deve fare per cercar di prevedere quale sarà il prossimo futuro per l’economia statunitense, non si può dimenticare la potentissima componente psicologica che ha giocato un ruolo fondamentale in queste elezioni. Obama ha vinto perché rappresenta il nuovo, il diverso, una sorta di speranza per il futuro e proprio su quest’ultimo aspetto ha puntato moltissimo. Certamente ha saputo dar una scossa ad un mondo che sta perdendo il lume della ragione: i mercati finanziari, dall’Europa agli Usa, sono stati colti da una prevedibile eccitazione durante le votazioni, registrando ottime performance, replicate nella notte dagli indici asiatici, Nikkei ed Hang Seng in primis. Fiducia serviva e, non si può negarlo, il senatore dell’Illinois ha saputo fornirla. Eppure, osservando il suo programma elettorale, sotto la voce “economia”, sorge qualche dubbio.

Partendo proprio dall’incipit del programma, vediamo alcune linee guida dello stesso. «Wages are Stagnant as Prices Rise»: che i salari siano fermi ed i prezzi al consumo abbiano registrato un aumento tendenziale, dovuto principalmente alla corsa delle commodities e del petrolio, è innegabile. Ma in un mondo che continua a domandarsi se la crisi attuale sia peggio rispetto a quella del 1929, forse il primo punto della sezione economica del programma doveva essere proprio riservata ai subprime. Invece ecco la ricetta taglia-tasse dei Dem, per limitar l’incidenza della payroll tax, onerosa sia per il lavoratore sia per l’impresa: ecco quindi il rimborso dei contributi versati alla Social Security nell’ordine di 500$ a lavoratore o 1000$ per nucleo familiare. «The "Making Work Pay" tax credit will completely eliminate income taxes for 10 million Americans» annunciano in coro Barack e Joe Biden. Lodevole da parte loro, ma forse si deve ritenere una mera promessa elettorale. Il pericolo è quello di vessare notevolmente i datori di lavoro, costringendoli a ridurre la loro offerta. Il vero problema è però un altro e prende (casualmente) il nome di spesa pubblica.

Si, perché Obama, incurante degli oneri che toccheranno ai contribuenti alla luce dei numerosi bailouts nei confronti delle banche in crisi, ha messo in programma di stanziare 50 miliardi di dollari per il rilancio dell’economia ed evitar una crisi occupazionale senza precedenti. Ma le voci di spesa pubblica non terminano qui, dato che nell’arco di 10 anni il ticket democratico vuole elargire oltre 150 miliardi di dollari per lo sviluppo di fonti di energia rinnovabili, dal biofuel alle tecnologie ibride di locomozione, con l’obiettivo di creare 5 milioni di “new green jobs”. E sempre in ambito lavorativo, sorgono altri dubbi. C’è in progetto di finanziare l’imprenditorialità attraverso incubatori d’impresa, volti alla creazione di business plan ed utili nella fase di start-up. Il tutto per una spesa complessiva di 250 milioni di dollari. Scelta condivisibile, che va nell’ottica del rilancio economico, a patto che si definisca adeguatamente il piano operativo. Infine, la proposta di innalzare il salario minimo, indicizzandolo all’inflazione, creando una sorta di scala mobile, è altamente discutibile, specialmente con le isteriche fluttuazioni dei prezzi delle materie prime. Il rischio, e noi italiani lo conosciamo molto bene, è quello di un circolo vizioso penalizzante per un settore industriale fortemente in difficoltà.
Manca tuttavia ancora qualcosa, ovvero come intende Obama reagire alla crisi dei mutui. In questo campo, si manifesta un minimo di stupore, in quanto i progetti sono per lo più fumosi.

Lo STOP FRAUD Act del nuovo presidente compie un giro di vite sulle società che concedono mutui ipotecari e si punterà ad introdurre una nuova legislazione in merito, per una maggior trasparenza nell’offerta di finanziamenti abitativi. Allo stesso tempo, il ticket Dem vuole punire in modo deciso tutti i responsabili delle truffe sui subprime, ma non si comprende né quando né come, lasciando solo intendere che ci dovrebbe essere un inasprimento della disciplina federale della bancarotta. Difficile che si possa pensare di risolvere tutto solamente proclamando aperta la caccia nei confronti delle streghe.

Osservando da oltreoceano la corsa elettorale americana, si è avuto l’impressione che Obama, seppur fumoso come Veltroni, abbia avuto lo stesso appeal di Berlusconi. McCain, nonostante una concretezza maggiore, nulla ha potuto fare contro un treno in corsa come quello Democratico. Il voto sembrava ormai solo più una formalità. La crisi finanziaria, invece, è ben più importante e saranno cruciali le scelte del nuovo presidente. La fiducia che può infondere nei mercati un cambiamento simbolico di questo genere è tantissima, ma sarà nulla se non suffragata da azioni incentivanti la ripresa, che passa innegabilmente attraverso una riduzione della spesa pubblica e non il contrario.

Sarà il tempo a decidere se l’Obamanomics passerà alla Storia. Di sicuro, la strada è in salita per Obama e forse dovrà cominciare a dirsi “Yes, I can”.