La Maastricht di Sarkò e della Merkel piace all’Europa
26 Novembre 2008
C’era una volta il Trattato di Maastricht, con le sue regole e le sue leggi. Per i critici i “parametri di convergenza” erano una sorta di diktat imposto agli stati membri, per i suoi promotori la pietra d’angolo della nascita di “Eurolandia”. Prendiamo il dogma che stabiliva (e stabilisce) che il rapporto tra deficit pubblico e PIL degli stati membri non sia superiore al 3 per cento. E che fino adesso sembrava inattaccabile. Poi è arrivato lo “tsunami” americano, l’economia Usa è entrata in crisi e la recessione è diventata uno spettro che si aggira tra l’America e l’Europa. Così l’Unione Europea ha pensato bene di rivedere il totem di Maastricht per sostenere i consumi e gli investimenti.
I governi che un tempo erano gli alfieri del Trattato – Francia e Germania – oggi chiedono maggiore “flessibilità” mettendo sul piatto tutto il loro peso politico ed economico pur di aggrapparsi a una speranza. In una lettera apparsa contemporaneamente su “Le Figaro” e la “Frankfurter Allgemeine Zeitung”, il premier francese Sarkozy e la sua omologa tedesca Merkel hanno chiesto a Bruxelles un paio d’anni di ‘franchigia’ per evitare il collasso sociale e rilanciare l’economia europea, puntando sugli aiuti alle famiglie inghiottite dalla crisi e alle imprese che rischiano di non farcela. Non ci sarà un unico piano, valido per tutti, ma ogni paese potrà valutare la ricetta migliore per fronteggiare il temuto disastro.
L’asse franco-tedesco vuole rimettere in discussione proprio l’asticella del “3 per cento” che, a quanto pare, nei prossimi anni potrà essere oltrepassata. Ed ecco che i “rigoristi” diventano possibilisti, perché la crisi è crisi, e “in futuro ci sarà tempo per risanare i bilanci” come hanno scritto Sarkò e la Merkel. Salta fuori anche che il Trattato non era poi così rigido e che, già all’inizio degli anni Novanta, in previsione di eventuali rovesci economici, si era ipotizzato di rivedere i margini del Patto di Stabilità. La domanda è: le regole sono regole o rimangono tali fino a quando non è utile o necessario modificarle? E utile a chi? Ma soprattutto, quando nei mercati tornerà la calma sarà automatico il ritorno ai vincoli già definiti? Oppure l’UE avrà creato un pericoloso precedente?
Fatto sta che oggi la Commissione Europea ha ascoltato i leader francese e tedesco approvando un piano per stimolare l’economia europea che va oltre le richieste fatte dal duo Sarkò-Merkel. Un pacchetto di 200 miliardi di euro che, nelle parole del presidente Barroso, “è una risposta senza precedenti a una crisi senza precedenti”. Sempre secondo Barroso si tratta di un piano “potente, sistematico e pragmatico”. 170 miliardi verranno messi a disposizione dai 27 stati membri, il resto verrà stanziato direttamente dall’Unione.
Tra le misure che Bruxelles ha proposto ai governi nazionali, e che verranno sancite dal vertice europeo del prossimo dicembre, c’è la riduzione dell’Iva per rilanciare i consumi (una strada che è già stata intrapresa dal premier inglese Brown); la riduzione delle tasse sul lavoro per favorire il potere d’acquisto delle fasce sociali più disagiate; lo sblocco dei prestiti alle piccole e medie imprese; una serie di aiuti mirati alle imprese che versano in maggiori difficoltà; gli incentivi “verdi” per l’industria automobilistica e per un’edilizia più ecologica; un aumento degli stanziamenti dei fondi europei. Il presidente della BCE, infine, se pur tra mille distinguo, non ha escluso che nelle prossime settimane ci possa essere un taglio dei tassi d’interesse.
A godere del piano sarà soprattutto l’industria automobilistica, sulla scia di quanto sta avvenendo negli Stati Uniti: circa 5 miliardi di euro andranno a puntellare le case automobilistiche che rischiano grosso. E così, se le Borse europee non hanno mostrato poi tutta questa grande fiducia nel piano della Commissione (soprattutto Londra, Berlino e Parigi), i titoli legati al mercato automobilistico invece hanno ripreso slancio: Fiat, Daimler, Bmw, Peugeot e Renault hanno festeggiato. Viene da chiedersi da dove salteranno fuori questi miliardi distribuiti a pioggia se non proprio dalle tasche dei contribuenti europei.
E l’Italia? Berlusconi non vuol darla vinta troppo facilmente ai governi francese e tedesco. Non si tratta semplicemente di una rivincita dopo che, per anni, Berlino e Parigi si sono presentati come i sacerdoti del Trattato di Maastricht. “Non intendiamo approfittare di questa maggiore flessibilità – ha dichiarato, lapidario, il Cavaliere – la nostra preoccupazione è diminuire il debito pubblico. Dobbiamo collocare i titoli del debito pubblico con tassi non superiori a quelli di altri Paesi. Dobbiamo confrontarci con i mercati. Dobbiamo ridurre il debito pubblico indipendentemente da Maastricht. Dobbiamo farlo per i mercati”. Più diplomatico il ministro dell’economia Tremonti: “Siamo sempre d’accordo con la Commissione europea. Ci riconosciamo totalmente in questa Europa” e dunque nel piano proposto da Bruxelles. Una posizione che Tremonti ha tenuto già in passato, quella della flessibilità. Ma si sa, nessuno è profeta a Bruxelles.