L’Inghilterra mette al bando la cioccolata. Che amarezza!
09 Novembre 2008
di Paola Vitali
Crisi economica, austerity, chiamatela come volete: nei fatti un trionfo di occasioni e di florido business per chi non aspettava di meglio per poter alimentare una strisciante cultura del limite. Cultura che trova i suoi più autorevoli esponenti in ambientalisti, ecologisti à la page, vegetariani e puristi alimentari di ogni genere, neo-spartani, nemici del sistema dei consumi. Basta guardarsi intorno, e cogliere il proliferare allegro di manualetti per l’eco-condotta e il risparmio quotidiano delle risorse, i trucchi ecologici per una vita senza sensi di colpa, le rubriche dei settimanali e dei palinsesti ricche di consigli per la “vita verde” e il portafogli meno affranto. Roba di puro buon senso che non si vede perché debba sembrare così rivoluzionaria soltanto adesso, ma tant’è.
Sul fronte della nutrizione il Nemico Numero Uno rimane incontrastato McDonald’s. In Italia il famigerato fast-food viene praticamente sempre e soltanto identificato con il marchio malefico – perché la guerra al cibo velenoso investe la grande M ma raramente si estende ad Autogrill, Spizzico, o a scendere, alle miriadi di erogatori di cibi industriali presenti in tutte le città d’Italia, ma che non essendo tutti perverse potenti multinazionali, paiono più innocui. Emblema del male peggiore che gli esseri umani possano fare al loro apparato digerente, anche se magari ci entrano solo una volta ogni tanto per la modesta trasgressione di un panino untuoso e un sacchetto di patate.
Sarà per le abitudini alimentari ancora casarecce rispetto a paesi meno tradizionalisti del nostro sul consumo di cibo, sarà perché ancora non è giunto il momento dell’isterismo collettivo onnipresente per i prodotti per l’alimentazione, fortunatamente in Italia alla fine ci si limita alla nota eppur blanda “guerra alle merendine” che ogni mamma giura di praticare (forse è anche per questo che a rassicurare le coscienze, nelle mense scolastiche il cibo ci tiene ad essere biologico a tutti i costi? Per non parlare di tutti gli approvvigionamenti marchiati Fairtrade?).
In Inghilterra invece qualche giorno fa il National Obesity Forum ha proseguito la sua crociata contro l’alimentazione fatta di “schifezze”, e ha bollato la possibile sponsorizzazione dei Giochi Olimpici londinesi del 2012 da parte dell’arcinoto produttore di cioccolato Cadbury (tra i marchi più tradizionalmente inglesi che esistano, peraltro). Ormai al pari di sigarette e alcolici, la cioccolata viene inclusa fra le sostanze pericolose per la salute, e certamente implausibili da abbinare allo sport.
Vale la pena notare che Cadbury ha già sponsorizzato senza clamori le Olimpiadi di Sydney nel 2000. Ma stiamo parlando di un’epoca remota in cui non si era ancora radicata l’idea che la lotta all’obesità e alle cattive abitudini alimentari dovesse anche coinvolgere le istituzioni e richiedere misure governative, come da tempo accade in Gran Bretagna. Così per la prima volta, dopo anni e anni di sponsorizzazioni calcistiche da parte di birre e alcolici di vario genere, ci si interroga sul legame tra sport e stili di vita salutari. Dimenticando il puro interesse aziendale alla visibilità di un grande e solido marchio e i trenta milioni di sterline pagati da Cadbury per stampare in esclusiva sulle confezioni dei suoi prodotti il logo delle Olimpiadi, e mettendo in discussione un intero meccanismo commerciale oliato e inarrestabile.
L’Obesity Forum sfiora il ridicolo quando parla della capacità di autodisciplina dei soli atleti, che saprebbero consumare con moderazione un veleno come il cioccolato; implicando di fatto che i consumatori non sanno regolarsi altrettanto, e vanno tenuti lontani il più possibile da cibi dannosi, come fossero bambini anche i meno giovani. Però la Coca-Cola è approvata, perché produce una versione light della bevanda, mentre una tavoletta di buon cacao va debellata con una guerra puritana, perché le genti imparino a mangiare cavoli biologici e tortini al farro.
L’Obesity Forum replica che per il consumo di bevande gassate, snack al cioccolato e insomma il cosidetto junk food i ragazzini inglesi spendono tutte le loro paghette e non accennano a contenersi, e che senza politiche di intervento la loro educazione alimentare è fortemente compromessa. Su questo si può anche essere d’accordo, ma che l’alternativa sia ingozzarli a volontà di verdure e pesci bolliti perché così ha deciso per loro uno stato lungimirante e accorto, un po’ meno. Se poi ci si mettono i neo-puritani della nuova era delle restrizioni, siamo a posto.