Le vittime dei bombardamenti e le vittime della storia (e degli storici)
09 Novembre 2008
di Vito Punzi
C’è qualcosa che non torna nel credito offerto “a scatola chiusa” da alcuni corrispondenti e commentatori italiani (Danilo Taino sul “Corriere della Sera” e Renzo Foa su “Liberal” rispettivamente il 4 e il 7 ottobre scorsi) a ciò che è stato comunicato a Dresda nel contesto delle giornate annuali degli storici tedeschi a proposito del numero dei morti causati dai bombardamenti inglesi del 13 e 14 febbraio 1945 sulla città sassone. Secondo quanto divulgato dalla “Commissione di storici” costituitasi appositamente, si tratterebbe di 18.000 vittime certe, con la possibilità che la stima sia in difetto, ma solo di poche migliaia. Un numero dunque lontano anche dalle cifre calcolate fino ad oggi dalle autorità della stessa città (35.000). Data per certa la nuova stima, si potrebbe mettere finalmente a tacere tutti coloro che, in virtù di una oggettiva difficoltà a stabilire numeri inoppugnabili, avevano “sparato” fino ad oggi cifre a dir poco spropositate (c’è stato chi ha ipotizzato qualcosa come 500.000 morti).
Purtroppo, o per fortuna, con la storia difficilmente si può sperare di poter dire una parola “fine”. E questo dovrebbe bastare per dedurre che non è mai sano rinunciare alla facoltà di dubitare (che è altra cosa evidentemente dal negare). Dubitare di cosa, in questo caso? Anzitutto degli stessi storici, archivisti ed esperti militari guidati da Rolf-Dieter Müller, almeno finché, al di là dei messaggi lanciati in forma oltremodo sintetica, non pubblicheranno gli esiti dettagliati delle loro ricerche (l’anno prossimo, dicono). Potrebbe bastare questo primo, semplice elemento per esigere una certa cautela da parte dei commentatori (che in Germania sono stati comunque posati). Ma c’è di più. E riguarda la Commissione stessa e i singoli studiosi che ne fanno parte. L’argomentazione da cui la ricerca ha preso le mosse nel 2004 è stata questa: “nessuno ha mai visto davvero le decine di migliaia di vittime che si presume siano morte a Dresda” (così Rolf-Dieter Müller in un’intervista del 13 febbraio 2007 a “Die Welt”). S’intende quanto quest’argomento, se usato come presupposto per la ricerca storica, possa essere pericoloso, perché demagogico e facilmente utilizzabile anche per altre stime (per le vittime della shoah, per esempio). Ci sono poi le finalità dichiarate per cui la Commissione venne istituita: per sottrarre un tema fondamentale ai “conservatori di destra e ai nuovi nazionalisti” (i più seri tra loro hanno sempre stimato aggirarsi la cifra delle vittime intorno alle 35.000 unità). Il gruppo di lavoro si costituì dunque con tutt’altro che celati intenti politici e questo, si converrà, non è un bene per la ricerca della verità. E’ utile ricordare poi che il percorso di ricerca, prolungatosi oltre le previsioni, non è stato sempre limpido. Al cospetto dei magri risultati che dopo due anni si andavano delineando (si ricordi che la ricerca è stata sostenuta interamente con denaro pubblico) la città di Dresda decise nel luglio 2006 si distogliere 200.000 euro di contributo, inizialmente previsti per il lavoro della Commissione, verso altri obiettivi. Dopo quattro mesi di trattative l’amministrazione comunale, stanziando un nuovo contributo di 90.000 euro, rese possibile la prosecuzione della ricerca. Da lì a breve, siamo ad inizio 2007, Müller dichiarò pubblicamente che il numero delle vittime era stato di circa 25.000, con un’approssimazione per difetto del 20%. E già allora il direttore del gruppo di ricerca mostrava la pessima abitudine di annunciare cifre senza documentazione allegata. Fatto questo che suscitò non pochi dubbi sul metodo scientifico adottato da Müller e dall’intera Commissione. Rüdiger Prose, redattore della rubrica “Panorama” per il canale televisivo statale ARD, scrisse allora che per quei ricercatori “non era importante la scienza storica […], piuttosto l’intento pedagogico, nel senso di un’ideologia ben precisa: l’uso improprio della scienza per fini politici.”
Tutto questo, ripetiamo, tra il 2006 e il 2007. Il problema che si pone ora, rinnovato, è il seguente: quale credito può essere concesso ai recenti annunci di Müller senza che i risultati della ricerca siano stati resi pubblici? Tanto più che la Commissione anche in quest’ultima, ennesima sua uscita pubblica ha voluto ribadire un assunto a dir poco discutibile: gli studiosi si sentono di escludere “con sicurezza” che a Dresda, in quei giorni di febbraio, oltre ai residenti, fossero presenti decine di migliaia di profughi in fuga dai territori orientali del Reich ormai occupati dai sovietici. Troppe certezze così facilmente sbandierate non aiutano la ricerca della verità.