“Life” sbarca su Google, ed è subito un successo

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“Life” sbarca su Google, ed è subito un successo

07 Dicembre 2008

A dispetto della crisi, Google non si ferma mai. Se da un lato l’impresa simbolo della Silicon Valley chiude il poco remunerativo mondo virtuale di "Lively", dall’altro continua a concentrarsi su nuovi progetti: "Street View", per esempio, l’innovativa applicazione legata a "Google Maps" che permette di camminare virtualmente per le vie delle città. Pochi giorni fa, poi, un altro annuncio: Google ha dato il via alla digitalizzazione dell’archivio fotografico di "Life", la prestigiosa rivista americana che ha visto crescere i migliori fotoreporter al mondo. Consultabili gratuitamente all’indirizzo http://images.google.com/hosted/life, ad oggi le fotografie disponibili sono il 20% di circa dieci milioni di "pezzi": nel giro di qualche mese però, assicurano da Mountain View, l’operazione sarà completata. Con tanto di immagini presenti in archivio ma mai pubblicate su carta: un patrimonio storico e culturale di immenso valore.

Quando "Life" sbarca nelle edicole americane, è il 23 novembre 1936: siamo ancora nel pieno della Grande Depressione. Dietro il progetto, un grande editore: Henry Luce. Laureato a Yale – dove dirige il giornale dell’università –, Luce entra nel mondo del giornalismo come reporter di "Chicago Daily News" e "Baltimora News". Poi, nel 1923, il colpo di genio. Insieme al compagno di università Briton Hadden, Luce dà vita alla rivista "Time": nel 1929 vende già 200.000 copie, oggi è distribuito in cinque continenti e vende quattro milioni di copie a settimana. Con il progetto "Time", l’ex reporter del "Baltimora News" si è fatto editore: nel 1930 è il turno del settimanale economico "Fortune" (1930). Ma ancora non è soddisfatto, e ha una convinzione: una bella fotografia parla più di mille reportage. Quello che manca, insomma, è una rivista "scritta" da fotografi: un sogno realizzato con "Life", 72 anni prima della consacrazione telematica targata Google.

L’idea che sta alla base di "Life" è semplice. E la spiega chiaramente Gozzini, nella sua "Storia del giornalismo" (Milano, Bruno Mondadori 2000): "La fotografia passa dalla funzione accessoria di commento e appendice esemplificativa degli articoli a quella centrale di supporto informativo diretto; l’articolo invece retrocede, riducendosi a semplice didascalia delle immagini, che si suppone parlino da sole all’intelligenza del lettore". Ma perché questo avvenga, servono dei grandi fotoreporter: e nella scelta del personale, Luce non è secondo a nessuno. Dal 1936 al 2000 (quando il settimanale, già divenuto mensile, cessa le pubblicazioni), "Life" pubblicherà solo scatti dei migliori fotografi al mondo: immagini che parlano da sole, gioiose e orribili, sempre dirette alla mente (e alla pancia) del lettore.

Sulla prima (storica) copertina di "Life" campeggia la diga di Fort Peck, sul fiume Missouri: bastioni imponenti, simbolo della forza dell’uomo e del suo lavoro. Un messaggio che Luce manda al suo Paese, nel mezzo del New Deal: americani, non arrendetevi. L’autrice dello scatto è la fotoreporter newyorchese Margaret Bourke-White, già in forza a "Fortune": le sue opere, pubblicate da "Life", la renderanno una delle fotografe più celebri al mondo. E la celebrità, mai come in questo caso, è meritata: prima donna inviata di guerra al mondo, a lei si devono il celebre "Stalin sorridente" (immortalato nel 1941), i carri armati di Hitler diretti verso l’Unione Sovietica e la Germania rasa al suolo – attraversata in compagnia del generale Patton. Ma anche la Germania dei campi di sterminio nazisti: in visita a Buchenwald, appena liberato, sarà proprio la Bourke-White ad immortalare per sempre l’orrore dell’Olocausto.

Sono immagini devastanti, che tutti dovrebbero osservare attentamente. E con la pubblicazione dell’archivio "Life", è molto semplice: basta inserire la stringa "concentration camp" e il motore di ricerca apre una finestra sull’orrore. Mucchi di corpi scheletrici e carbonizzati, giovani in branda ridotti in fin di vita, camion carichi di ossa: immagini dure per chiunque, figuratevi per un fotoreporter sul campo. Come ha fatto la Bourke-White ha documentare tutto ciò? Anni dopo, è lei stessa a spiegarlo: "Lavorare con la macchina fotografica mi dava quasi sollievo. Frapponeva una sottile barriera tra me e l’orrore che avevo di fronte. Sono spesso costretta a lavorare con la mente coperta da un velo: in quell’occasione, il velo protettivo fu tanto efficace che quasi non seppi ciò che avevo ripreso finchè non vidi i negativi sviluppati. Se non si fa così, è impossibile reggere".

Non solo orrore, comunque: è un piacere naufragare nell’oceano dell’archivio "Life", lasciandosi guidare dalle corrispondenze suggerite da Google. L’home page suggerisce di partire da un preciso arco temporale (si va dal 1860 agli anni ’70 del XX secolo), oppure da personaggi ed eventi: l’epopea dei Kennedy, la sensualità della Monroe, lo sbarco sulla luna, gli Oscar, Disney e il suo fantastico mondo. E poi c’è tanta Italia: l’eleganza di Villa D’Este, le forme del Duomo di Milano, Roma e i suoi palazzi, le meraviglie di Napoli e Firenze. Un viaggio culturale per osservare un’Italia che non c’è più; ma anche un modo per scoprire quali scorci del nostro Paese sono entrati nelle case delle famiglie americane del secolo scorso. E una riscoperta, in ultima analisi, dell’importanza del fotogiornalismo: in un sistema mediatico cannibalizzato dalla televisione, si sente la mancanza di fotografi come Capa o Bourke-White. Per il momento, non resta che goderseli su Google.