Per evitare la recessione Washington salva Detroit

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Per evitare la recessione Washington salva Detroit

09 Dicembre 2008

 

“E’ solo un prestito,” ha dichiarato ieri il Senatore Democratico del Massachussetts Barney Frank, Presidente della Commissione per i Servizi Finanziari. Si tratta di 15 miliardi di dollari che i contribuenti Americani presteranno all’industria automobilistica, in particolare Chrysler e General Motors, perché non falliscano. Per il momento, solo Ford pensa di potercela fare senza aiuti dal governo.

Il piano di salvataggio è stato messo a punto proprio ieri dal Congresso, e presentato alla Casa Bianca. All’inizio un po’ tiepida sul progetto, la Casa Bianca sembra aver deciso di sostenere il piano, dopo aver estorto alcune concessioni importanti. Il prestito non verrà dal fondo destinato al salvataggio del settore finanziario, come voleva il Congresso, ma dalla legge sull’energia. E non ci sarà una commissione a gestire il prestito, ma uno zar dell’auto nominato da Bush.

Il salvataggio dell’industria dell’auto è anche più controverso del salvataggio delle banche. Se le banche sono state colpevoli di aver rischiato troppo e troppo irresponsabilmente, ai grandi manager di Detroit si rimprovera di aver costantemente preso decisioni sbagliate, sia sulla produzione che sulla gestione, e di non aver mai imparato dai propri errori. La lettera aperta ai consumatori firmata dalla General Motors e pubblicata ieri sulla rivista del settore Automotive News avrebbe voluto correggere l’immagine di incompetenza e arroganza di cui gode questa società ma arriva troppo tardi. Ci scusiamo per aver “deluso” e “tradito” i consumatori producendo auto di scarsa qualità e scegliendo una strategia sbagliata, dice la lettera. Nello stesso testo, la GM promette di restituire il prestito dei contribuenti entro il 2011.

Proprio domenica, intervistato dalla NBC, il presidente eletto Barack Obama ha accennato al fatto che solo due delle tre grandi società automobilistiche non dovranno cambiare il proprio management in cambio del piano di salvataggio. Il senatore democratico del Connecticut Christopher Dodd, presidente della Commissione bancaria, è stato meno discreto e ha detto chiaramente che Rick Wagoner, di GM, deve andarsene. Non si tratta di una richiesta retorica, il grande manager della GM non gode più della fiducia di nessuno.

Mentre i negoziati sul piano di salvataggio arrivano ad un punto conclusivo, è chiaro che sia il Congresso che la Casa Bianca e Barack Obama vogliono un impegno dell’industria a riformarsi nel lungo termine. La GM ha bisogno di 4 miliardi per chiudere l’anno e 4 ancora per l’inizio del 2009. La Chrysler chiede 7 miliardi. E dopo? Annunciando la presentazione del progetto di legge, la Presidente del Congresso Nancy Pelosi ha detto che nel lungo termine si aspetta sacrifici da tutti, management e sindacati compresi. Lo zar dell’auto dovrà far sì che il prestito di emergenza venga ben usato come incentivo alla ristrutturazione, altrimenti avrà il potere di forzare le società al fallimento.

La domanda rimane, come mai l’intero establishment politico americano è così determinato a salvare Chrysler e GM, che con Ford rappresentano il 48% della produzione automobilistica negli USA, una parte importante, ma non l’intera industria? Come mai si è pronti a rischiare miliardi per cercare di risollevare un’industria nella quale si ha così poca fiducia? La risposta, nonostante l’attenzione prestata alla strategia di lungo termine, si trova nella contingenza: nessuno vuole prendersi la responsabilità, in questa recessione da tempo annunciata, di aggiungere decine di migliaia di disoccupati all’esercito di senza lavoro la cui crescita continua a sorprendere gli analisti.