Di Le Clézio è stato detto tutto, ora vale la pena leggerlo
14 Dicembre 2008
Viaggiatore del mondo, cantore nomade, straniero in una città per turisti, naufrago dell’esistenza. A Nobel ottenuto, su Jean-Marie Gustave Le Clézio la stampa europea ha detto tutto o quasi. I pochi editori che in Italia lo avevano in catalogo hanno fatto il resto, stampando (o ristampando) quasi tutte le sue opere, perlopiù introvabili fino a qualche giorno prima dell’assegnazione dell’alloro letterario.
Così, a otto anni dalla sua prima comparsa in Italia, il Saggiatore ha riproposto Stella errante, romanzo datato 1992 e ambientato nell’entroterra nizzardo. Una storia di identità negate, raccontate attraverso l’educazione sentimentale ed esistenziale di Esther, giovanissima ebrea che durante la seconda guerra mondiale conosce la clandestinità e poi il lutto per la prematura scomparsa del padre partigiano. Scampata al nazismo e ai bombardamenti, migrerà in Israele, ma di lì a breve – e siamo già nell’immediato dopoguerra – nella terra promessa spireranno nuovi venti bellicosi e con l’arrivo di tank e granate nasceranno insperate amicizie segnate da altri traumatici abbandoni. Come nel caso di Nejma, giovane palestinese, “sorella dal profilo indiano e dagli occhi chiari”, obbligata a lasciare terra e affetti verso uno di tanti campi profughi con “il vento che soffiava sulle distese di pietre, bruciava le palpebre, intorpidiva gli arti”. Gradualmente, il racconto di Esther si farà più piano e più pensoso, e troveranno spazio i ricordi degli “studi all’università, Michel, l’amicizia con Lola, gli incontri con Béerénice Einberg, l’amore di Philip”.
Ad alto tasso di pathos e di drammaticità, la storia segna una svolta nell’opera dello scrittore di Nizza. Rispetto ai primi romanzi di sperimentazione, qui Le Clézio preme infatti con viva forza il tasto del lirismo descrittivo. L’attenzione si fissa così su luoghi e paesaggi, o sulla notte “che arriva di colpo, senza richiami, senza preghiere né uccelli. Il cielo vuoto cambia colore e diventa rosso, poi l’oscurità sale dal fondo dei valloni”.
È il trionfo della bella pagina e dei colpi ad effetto, che stavolta si declinano in un racconto forse troppo politicamente corretto. Certo, dialoghi e personaggi sono ben costruiti e reggono contenuto e gravità della narrazione. Ma, alla fine, la rievocazione lirica e il piglio nostalgico rischiano di soffocare una storia già piuttosto fragile, e si finisce così col trovarsi soli con il proprio libro, “abbandonati, lontano dal mondo, lontano dalla vita”.
Jean-Marie Gustave Le Clézio, Stella errante, traduzione di Ela Assetta, Il Saggiatore, pp. 279, euro 13