I ministri del gabinetto di sicurezza israeliano lasciano aperte tutte le porte. Da una parte scelgono impavidamente di estendere l’attacco penetrando nelle zone più popolate di Gaza, dall’altra rafforzano il dialogo con il presidente egiziano Mubarak prendendo in considerazione la proposta franco-egiziana di un “cessate il fuoco” bilaterale. L’esercito israeliano si attesterebbe sulle posizioni raggiunte nell’ultimo giorno di combattimento, lo stato ebraico accetterebbe il piano della intelligence egiziana per difendersi dai razzi e impedire il riarmo di Hamas. In più arriverebbero delle forze internazionali, magari degli osservatori dall’Egitto e dalla Giordania.
Domani sera il presidente dell’autorità palestinese Abu Mazen sarà al Cairo per incontrare il presidente Hosni Mubarak e discutere il piano. Sarà preceduto da due inviati israeliani. Il piano ha ottenuto appoggio degli Stati Uniti all’Onu per bocca di Condoleeza Rice. Il presidente francese Sarkozy ha detto di essere “lietissimo dell’accettazione da parte di Israele e dell’Autorità Palestinese del piano franco-egiziano presentato la notte scorsa a Sharm el-Sheikh dal presidente Hosni Mubarak”. Un ottimismo eccessivo visto che ancora nessuna delle due parti ha accettato l’accordo.
Perché l’Europa parla per voce di Sarkozy? Il gioco degli schieramenti europei a quasi due settimane dall’inizio del conflitto sembra costantemente sul punto di partire ma poi si blocca e inciampa. Negli ultimi giorni si stanno definendo i ruoli, si prendono posizioni nette e si fanno passi da gambero, oppure si piomba in un silenzio impacciato com’è accaduto ai governi polacco e tedesco. E’ un profilo caotico se non sgangherato: anche la Repubblica Ceca, presidente della UE dal primo gennaio, ha ridimensionato il suo sostegno a Israele specificando che “il diritto inalienabile di uno Stato a difendersi non lo autorizza a compiere azioni che coinvolgono massicciamente i civili”. Dopo i distinguo dei giorni scorsi Praga si sta allineando alle posizioni di Parigi.
Il governo di Madrid ha espresso solidarietà al presidente dell’ANP Abu Mazen mentre ci si chiede che fine abbia fatto Tony Blair, l’inviato del “Quartetto” in Medio Oriente, che nei giorni scorsi è stato criticato per essere rimasto in vacanza mentre la Palestina bruciava. “Stiamo facendo tutto quello che possiamo per porre fine a una situazione di immensa sofferenza e privazione”, ha detto Blair dopo aver incontrato Abbas in West Bank. Secondo l’ex premier inglese “la tregua è una priorità”. Il ministro degli esteri italiano Frattini ha chiesto un cessate il fuoco che abbia come condizione il disarmo di Hamas e ha offerto l’aiuto italiano nella formazione di una missione di monitoraggio al valico di Rafha, tra Gaza e l’Egitto. Non ha specificato in che modo andrebbe raggiunta la tregua: Hamas sospenderà il lancio dei razzi senza ricevere nulla in cambio? E quali saranno le concessioni di Israele?
L’alto rappresentante dell’Unione Europea per la politica estera, Javier Solana, è convinto che il piano franco-egiziano possa dare i suoi frutti. “La dichiarazione fatta dal presidente Mubarak è stata bene accolta a New York dai membri del Consiglio di Sicurezza e speriamo che tutto ciò possa portare i suoi frutti nelle prossime ore – ha commentato Solana alla radio spagnola – l’attività diplomatica è al suo apice e occorre verificare se i nostri sforzi porteranno a una sospensione immediata delle ostilità”.
Tutti in Europa sperano in Mubarak, soprattutto le ex potenze coloniali che credono ancora di avere un’influenza sulla terra dei Faraoni e sulle strade che portano a Damasco. Ma le manifestazioni della Fratellanza Musulmana a piazza Tahrir, nel cuore del Cairo, hanno scosso il governo e messo in dubbio “l’infitah”, la storica politica di apertura egiziana verso lo stato ebraico. Nel 2010 si svolgeranno le presidenziali e Mubarak, al potere dalla morte di Sadat (6 Ottobre 1981), sta da tempo preparando la successione puntando sul delfino Jamal. Mubarak non può permettersi il lusso di perdere autorità e consensi sia interni che all’estero, verso gli altri paese arabi e musulmani. Così se la proposta franco-egiziana non andrà in porto il Cairo potrà tornare ad attaccare Israele, tanto più che il vento dell’Unione Europea soffia nella direzione di sempre: mediare, patteggiare, rimandare. Come fa quella vecchia volpe di Sarkò in un eccesso di zelo orientalista.