In Iraq si vota ancora e la democrazia in Medio Oriente fa un altro passo avanti

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In Iraq si vota ancora e la democrazia in Medio Oriente fa un altro passo avanti

02 Febbraio 2009

“Una vittoria per tutti gli iracheni”. Così il primo ministro Al-Maliki ha commentato il pacifico svolgimento delle elezioni per il rinnovo dei Consigli Provinciali in Iraq svoltesi sabato 30 gennaio.

Il primo dato positivo è la regolarità con cui si sono svolte le elezioni. Nessun attentato, nessuna dimostrazione violenta ai seggi. Solo a Tikriti, città natale di Saddam, sono stati sparati colpi di mortaio e alcuni uomini che hanno provato a lanciare colpi granate contro un seggio sono stati arrestati. Il dato è estremamente significativo perché conferma la costante discesa dei livelli di violenza nel paese, da quando nel 2007 le forze americane guidate da David Petraeus hanno attuato al strategia del “surge”.

A gennaio 2009 il numero delle vittime civili di atti di violenza, terroristici o criminali è stato il più basso dalla deposizione di Saddam Hussein nel 2003. Inoltre, queste elezioni sono state organizzate, gestite e messe in sicurezza dalle forze irachene, che con 500.000 tra soldati e poliziotti schierati in tutto il paese hanno dimostrato i grandi passi avanti compiuti grazie all’addestramento americano. Le truppe statunitensi sono rimaste in gran parte nelle loro basi, mentre le elezioni sono state supervisionate dalla missione Onu guidata da Staffan de Mistura. De Mistura e l’Alta Commissione Elettorale per l’Iraq, l’agenzia irachena indipendente che ha gestito le elezioni, hanno dichiarato che tutto si è svolto regolarmente.

Il secondo dato positivo della tornata elettorale è stata l’affluenza alle urne in tutte le 14 province chiamate al voto (le 3 province curde del nord e quella di Kirkuk hanno rimandato le elezioni locali). Ancora non sono disponibili dati ufficiali, tuttavia il fatto che sia stata prorogata di un’ora l’apertura dei seggi a causa delle file di elettori in attesa di votare è significativo. Cosa più importante, anche nelle province sunnite come Anbar l’affluenza al voto è stata in linea con il resto del paese, a differenza del 2005 quando i sunniti decisero di boicottare le elezioni. Il risultato dell’autoesclusione dall’arena politica fu una spirale di violenza settaria da cui l’Iraq è uscito a fatica, e questa volta non si è voluto ripetere lo stesso errore.

Il terzo dato positivo, già anticipato dalla campagna elettorale, è il pluralismo e la competizione politica che hanno segnato queste elezioni. Più di 14.400 candidati appartenenti a oltre 400 entità politiche hanno fatto campagna elettorale, e tra di loro circa sono candidate circa 4.000 donne molte delle quali siederanno nei Consigli perché il 30% dei seggi è riservato loro per legge.

In questo contesto, le elezioni provinciali sono un test significativo anche per le dinamiche politiche nazionali. Ad esempio il voto a Najaf, importante centro spirituale ed economico del sud dell’Iraq, è un’importante prova per capire i rapporti di forza tra due partiti sciiti: il Consiglio Islamico supremo dell’Iraq, di ispirazione religiosa, e il partito Dawa guidato dal premier Al-Maliki, di impronta più laica. Il primo propone un maggiore potere di autogoverno per le province meridionali, nel quadro della costituzione federale irachena, mentre il secondo vi si oppone giudicandolo un pericolo per l’unità del paese.

Il voto nelle province sciite servirà a testare anche il consenso per il partito del clerico filo-iraniano Moqtada A-Sadr. Le milizie sadriste nel 2004-2005 avevano cercato di prendere il controllo delle province meridionali, ma dopo la dura risposta militare delle truppe americane e irachene, culminata nella battaglia di Bassora del 2008, sono state costrette a deporre le armi e ad accettare le regole del gioco politico democratico.

Anche il presidente Obama con un breve comunicato si è congratulato con gli iracheni per aver scelto pacificamente e democraticamente i loro rappresentanti, giudicando le elezioni provinciali un importante passo avanti sulla strada delle piena assunzione delle responsabilità di governo.

Un passo avanti reso possibile dallo sforzo militare, economico e politico che in cinque anni di amministrazione Bush gli Stati Uniti hanno compiuto per stabilizzare un governo democratico nel cuore del Medio Oriente. Uno sforzo che queste elezioni hanno dimostrato sta avendo successo. Se i trend positivi in corso in Iraq continueranno fino alle prossime elezioni politiche, previste per l’autunno del 2009, l’anno prossimo le truppe americane potranno ritirarsi lasciandosi alle spalle un paese musulmano stabilmente avviato sulla strada della democrazia.

Per il momento, l’immagine forse più significativa delle tante raccontate da seggi elettorali iracheni, dove la musica invece delle esplosioni questa volta ha fatto da colonna sonora di una atmosfera festosa, viene da Ramadi. Nella città sunnita fino a al 2006 controllata da Al-Qaeda, un uomo porta tranquillamente con sé al seggio il figlio di 7 anni, e intervistato in merito da un cronista della CNN ha semplicemente affermato: “Voglio che impari la democrazia”.