Nonostante Günter Grass, la Germania si prepara a fare i conti con la storia
08 Febbraio 2009
di Vito Punzi
I venti anni dall’abbattimento del Muro di Berlino, che verranno ricordati il prossimo 9 novembre, in Germania sono già ora occasione di riflessione e dibattito pubblico. Non tanto per le esternazioni del nostalgico Günter Grass (“partigiano della Costituzione” per autodefinizione), la cui influenza sull’opinione pubblica tedesca e sullo stesso partito socialdemocratico, come si cercherà di dimostrare, è ormai poca cosa. Cresce piuttosto la preoccupazione per la scarsa conoscenza, in particolare tra i giovani, degli ultimi sessant’anni di storia nazionale. Per le attuali generazioni di studenti gli eventi legati alla rivoluzione pacifica dell’autunno 1989 dovrebbero avere lo stesso significato che la storia del Terzo Reich ebbe per i loro genitori. Invece, se da un lato la prima metà del Novecento tedesco viene studiata con grande attenzione, dall’altro la storia di oltre quarant’anni di dittatura comunista nella Germania Orientale continua ad essere trattato come un tema marginale. É questo infatti l’inquietante risultato della ricerca intitolata “Paradiso sociale o Stato controllato dalla Stasi?” (Monika Deutz-Schroeder, Klaus Schroeder, Soziales Paradies oder Stasi-Staat? Das DDR-Bild von Schülern – ein Ost-West-Vergleich, Verlag Ernst Vogel, Stamsrled 2008, p. 759) promossa dalla Freie Universiät di Berlino tra i banchi di scuola e dedicata all’attuale percezione nei giovani del passato regime guidato dalla SED, il partito comunista tedesco-orientale.
Altro che preoccupazione per gli scrittori e gli artisti che d’improvviso, con la caduta del Muro e la riunificazione, si sono visti sottratti parte dei privilegi acquisiti grazie al regime DDR (così, secondo il Grass di una recente intervista a “Die Zeit”, sarebbe accaduto a Christa Wolf, che fino all’ultimo, si ricordi, tentò d insieme ad altri intellettuali filogovernativi di impedire lo smantellamento della DDR). La premura della Fondazione statale per l’elaborazione della memoria della dittatura tedesco-orientale (www.stiftung-aufarbeitung.de) è che questo ventennale sia finalmente l’occasione per trasformare la rivoluzione pacifica del 1989 da evento “locale” (sembra incredibile, ma questo, purtroppo, è stata ed è per molti tedeschi ex-occidentali…), decisivo solo per le regioni centro orientali della Germania, ad avvenimento fondamentale e fondante l’intera nazione. Per far questo, il programma di interventi preparato dalla Fondazione per le scuole è particolarmente ricco e comprende la circuitazione di testimonianze di cittadini ex-orientali, di mostre didattiche e di pubblicazioni varie. Di rilievo la preoccupazione, espressa da Wolfgang Tiefensee (SPD), sindaco di Lipsia al tempo dei primi moti anti-DDR. Secondo l’attuale Ministro della Difesa va verificato fino a che punto siano stati realizzati i desideri dei rivoltosi di allora, poiché con troppa frequenza tornano oggi a circolare affermazioni sprezzanti, secondo le quali «quei “piccoli uomini” non avrebbero potuto muovere e non hanno mosso un bel nulla».
Anche Markus Meckel, cofondatore della SPD nei nuovi Länder orientali, ha lamentato di recente la scarsa conoscenza tra i giovani di ciò che ha dato origine agli eventi del 1989 nell’allora DDR: il forte, insopprimibile anelito alla libertà. La stessa riunificazione, ha sostenuto Meckel, non avrebbe potuto essere se alla base non ci fosse stata la battaglia pacifica per l’affermazione delle libertà individuali elementari. Il rischio, evidente anche nelle recenti, irresponsabili parole di Günter Grass relative al presunto fallimento della riunificazione, è che ci si dimentichi dei protagonisti di quei moti di libertà: le centinaia di migliaia di uomini e donne “semplici” (spregiativamente, i cosiddetti kleine Männer, “piccoli uomini”). Lo ha ricordato con forza Joachim Gauck, già delegato alla guida della commissione federale per l’elaborazione degli atti della Stasi: «sono i reazionari, poco importa se vestiti con camice rosse o con camice brune, a non sopportare che i “semplici cittadini” facciano la storia».