Al Pd non basta cambiare dirigenza

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Al Pd non basta cambiare dirigenza

20 Febbraio 2009

Salottiera, giustizialista, pessimista, conservatrice. Questo il ritratto della sinistra lasciato in eredità ai dirigenti e militanti del suo partito da un Veltroni finalmente libero di strapparsi di dosso, almeno per un minuto, la crosta di melassa buonista che fino a ieri era stata la sua cifra retorica. Quattro parole che valgono decine di saggi, e molti ne riassumono (da Luca Ricolfi a Andrea Romano, da Giampaolo Pansa a Emanuele Macaluso). Uno squarcio di luce, ma certo troppo abbagliante per illuminare un uditorio da troppo tempo abituato a vivere nella penombra. Non ha caso nel resoconto dell’Unità, che quegli ingredienti centrifuga ogni mattina nel beverone che offre al lettore “democratico” (il pessimismo in prima, il salotto di Conchita De Gregorio in seconda, il giustizialismo di Travaglio in terza..) di quella frase non c’è traccia, a differenza del disincantato quotidiano di origine margheritina, Europa.

Veltroni nel prendere atto del fallimento del suo progetto ha attribuito a se stesso il merito di aver cercato di liberare la sinistra dai quei suoi mali oscuri. Non è però facile trovare nell’azione dell’ex segretario traccia di un simile impegno per l’innovazione.

Difficile ad esempio pensare che l’alleanza con Di Pietro alle elezioni politiche potesse sciogliere il groppo giustizialista che trovò la sua più indecente espressione all’epoca della lapidazione di Craxi davanti al Raphael nel 1993. La gragnuola di insulti e monetine scagliate contro il segretario del Psi dai militanti che tornavano da Piazza Navona dopo un comizio di Occhetto attraversa tuttora il corpo della sinistra come una devastante molecola di violenza psicopolitica. Naturale che Di Pietro s’ingrassi della polpa del Pd.

Allo stesso modo l’incertezza, la titubanza, il rinvio, cos’altro sono se non il risvolto di un’antica palandrana comunista intessuta di opportunismo e conservatorismo?

Un esempio recente: il caso Englaro. Il Pd una volta tanto pesca il biglietto vincente della lotteria. Alla guida del suo gruppo nella commissione Sanità c’è un politico dichiaratamente cattolico, e il caso vuole che questo cattolico sia anche un luminare della medicina e al tempo stesso un seguace dei lumi nella bioetica. Rara opportunità di realizzare la fusione calda fra le diverse anime del partito. Per giunta i sondaggi dicono che la maggioranza degli italiani è d’accordo con le posizioni espresse dal professor Ignazio Marino in materia di testamento biologico. Ebbene, proprio alla vigilia delle elezioni sarde il partito di Veltroni riesce, con burocratica nonchalance, a sostituire Marino con una parlamentare cui la fede cattolica impone di far corrispondere, in questo caso, le sue scelte politiche a quelle del Vaticano e, en passant, a quelle del centrodestra. Difficile non pensare che anche in questo caso le ragioni della coesione interna del Pd abbiano prevalso e soffocato con esiti disastrosi quelle del rapporto con gli elettori.

Incerto su tutto, dalla gestione degli affari correnti (caso Campania, e ora Lazio) a quelli internazionali (in quale gruppo andranno a sedersi in Europa gli eletti del Pd? Risposta: lavoreremo per cambiare l’Europa!), a quelli economici (mi schiero con Cisl e Uil che scelgono di lavorare per il superamento della crisi planetaria o con la Cgil che lavora per evitare la propria?), a quelli che investono le libertà civili il Pd oggi non è un partito debole, è un partito inutile.

Per questo ogni previsione sul suo futuro è oggi impossibile. Al Pd non basta mutare dirigenza, come non è bastato scegliere o non scegliere fra il negazionismo di Veltroni (“non sono mai stato comunista”) e l’evoluzionismo berlingueriano di D’Alema, fra i cattocomunisti postdemocristiani e i teodem neoclericali. La Destra oggi trionfa perché, dopo il terremoto politico-giudiziario di Tangentopoli, il suo leader ha azzerato la storia dell’area moderata e ha ridotto a figuranti i suoi vecchi protagonisti e i loro eredi. A Sinistra non è successo nulla del genere e si è proceduto a tentoni senza una direzione precisa. Ma ormai è giunta al capolinea. Stavolta non può sperare di trovare l’ennesimo escamotage (Cosa, Ulivo, Unione, Pd) per evitare di fare fino in fondo i conti col proprio passato. E con l’immagine ironica e deforme che le rimanda lo specchio sollevato da Veltroni.