Le Borse arrancano dopo l’ipotesi di nazionalizzare le banche

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Le Borse arrancano dopo l’ipotesi di nazionalizzare le banche

23 Febbraio 2009

La chiusura dei mercati finanziari la scorsa settimana ha registrato andamenti al ribasso drammatici. A tirare al ribasso sono stati soprattutto i titoli bancari. Gli analisti sostengono che a determinare tale situazione sono state le indiscrezioni sulla possibile nazionalizzazione delle banche.

Di questo argomento si era sicuramente parlato nei colloqui tra Silvio Berlusconi e Gordon Brown, visto che il tema è rimbalzato all’esterno ed è finito sulle agenzie di stampa, tanto da indurre il premier a rilasciare una di quelle smentite che suonano effettivamente come un conferma. Se questi sono i timori e le prospettive ciò significa che la situazione rimane oltremodo seria, che la crisi resta concentrata nei mercati finanziari e che la stabilità del sistema del credito non è affatto garantita dalle misure fino ad ora assunte dai Governi occidentali.

Per provocare un effetto domino nella crisi basterebbe poco: qualche ulteriore fallimento di istituti di credito in giro per il mondo potrebbe avere conseguenze abbastanza critiche. Non occorrono particolari approfondimenti per accorgersi delle difficoltà. Il principale inconveniente risiede proprio nel fatto che il sistema non reagisce alle terapie. Ad ogni intervento dei Governi si determina un effetto placebo per alcuni giorni, poi tutto ritorna per aria.

Alcuni importanti istituti di credito hanno già ricapitalizzato più volte, senza riuscire a restituire valore ai loro titoli che continuano a presentare performance molto al ribasso, assolutamente al di sotto del reale redditività dell’impresa. Le banche sono troppo esposte, spesso con investimenti a rischio, per poter svolgere politiche del credito equilibrate, attente alle esigenze dell’economia.

Gli istituti non si fidano più dei loro partner perché continuano a domandarsi quanta parte di titoli tossici abbiano incamerato nel loro patrimonio. Così la fluidità – condizione essenziale del sistema – è avviata verso il blocco. Le banche hanno bisogno di liquidità e pertanto non solo negano il credito alle imprese, ma spesso pretendono il rientro dei flussi concessi in via ordinaria ai clienti, i quali, pertanto, si trovano dalla sera al mattino in gravi difficoltà anche per la gestione ordinaria della loro attività.

In questo modo le aziende rischiano di essere strangolate da una morsa implacabile: pochi ordinativi e poco credito. Ipotizzare, comunque, la nazionalizzazione delle banche è una prospettiva inquietante. Perché in tal modo non si risolverebbero i problemi, ma ci si limiterebbe soltanto ad erigere barriere sempre più elevate contro lo tsunami dei mercati finanziari. Nella speranza che la "diga" questa volta regga. Anche le imprese nazionalizzate devono far quadrare i conti.

In ogni caso, giorno dopo giorno risulta sempre più chiaro che i dati di fondo dell’attuale situazione sono ben diversi da quelli a cui di solito si pensa. Il Paese deve affrontare due priorità in tempi ravvicinati da cui dipende il suo futuro: riusciremo a salvare le banche dal fallimento ? Riusciremo a "piazzare" 250 miliardi di titoli in scadenza nei prossimi mesi ? 

Se sapremo evitare questi  rischi sfuggiremo anche ad un rapido, inesorabile declino; ma saremo appena all’inizio del cammino verso la risalita. Intanto, Giulio Tremonti ha messo a posto un altro tassello nella ricostruzione di un sistema creditizio in grado di superare la crisi. La Ue ha approvato la proposta dei bond avanzata dal superministro dell’Economia. Così potrà ripartire un circolo virtuoso in grado di riaprire il credito per le piccole e medie imprese.