Iraq: a Sharm el-Sheikh si partirà col piede giusto?
26 Aprile 2007
Da un po’ di tempo a questa parte si fa un gran parlare di accordi politici che possano in qualche modo garantire la stabilizzazione dell’Iraq, difficilmente raggiungibile solamente con le armi. Gli sciiti contro i sunniti, gli insorti che attaccano le forze di polizia irachene e non, al-Quaida che gioca il ruolo di scheggia impazzita in grado di arrecare danni a chiunque ed ovunque. La ricerca di un accordo politico è stata più volte invocata e la conferenza del 10 marzo scorso a Baghdad altro non è stata che il primo passo verso un dialogo tra le parti volto a porre fine al conflitto.
Tra i temi più scottanti trattati in quella conferenza troviamo quello dei profughi, la questione dei dividendi petroliferi e il fiancheggiamento del terrorismo da parte dei paesi confinanti con l’Iraq. Il problema degli sfollati e dei dispersi necessita di un intervento rapido perché altissimo è il rischio che milioni di persone saranno costrette a soggiornare lungamente in quelle baraccopoli che gli operatori di politica internazionale si ostinano a chiamare “campi profughi”. Un terreno quanto mai fertile per reclutare futuri terroristi e bombe umane.
Alla conferenza del 10 marzo si è comunque verificato qualcosa di storico: per la prima volta dopo la rivoluzione di Khomeini del 19079, ambasciatori iraniani e statunitensi si sono seduti allo stesso tavolo per discutere problemi comuni. In questo caso, lo scopo è porre fine alla violenza settaria per prevenire un eventuale allargamento del conflitto. Alcuni analisti hanno giudicato l’incontro positivamente, anche se, in fin dei conti, nessun progresso è stato fatto verso la risoluzione delle numerose problematiche irachene, mentre immutata è rimasta la distanza diplomatica tra americani e iraniani. In questi casi, però, anche un impercettibile “passo avanti” è da considerare positivamente rispetto all’immobilità. Non vanno comunque dimenticati i colpi di mortaio piovuti nei pressi del ministero degli Esteri, segno che, malgrado l’assenza di danni, a “qualcuno lì fuori” non piace affatto l’idea di un vertice diplomatico per favorire la riconciliazione.
Gli Stati Uniti e l’Iran hanno provato a discutere del luogo in cui si sarebbe tenuta la conferenza successiva (Istanbul o Baghdad), non riuscendo tuttavia a mettersi d’accordo. Quando poi il capo delegazione iraniano, Abbas Araghchi, ha accusato gli americani di aver rapito sei diplomatici suoi connazionali, l’ambasciatore Usa in Iraq, Zalmay Khalilzad, ha replicato che mai la coalizione a guida americana aveva fatto prigionieri politici. La questione divide ancora oggi i due paesi, tanto è vero che Teheran sta pensando di condizionare la propria partecipazione alla prossima conferenza di Sharm el-Sheikh al rilascio dei sei prigionieri.
La posizione di Araghchi è molto dura nei confronti degli Stati Uniti: “Sfortunatamente gli americani stanno patendo il fallimento dell’intelligence…Hanno commesso tanti errori in Iraq, [hanno portato avanti] tante politiche sbagliate per colpa di false informazioni e dello scarso lavoro dei loro servizi segreti. Speriamo che non continuino su questa strada”.
Ad ogni modo, la conferenza di Baghdad è servita a prendere atto della necessità di trovare una soluzione regionale alla crisi. Di qui, la decisione di proseguire con altri incontri. Così il 7 aprile, il ministro degli Esteri iracheno, Hoshyar Zebari, ha annunciato che il prossimo vertice si svolgerà in Egitto, a Sharm el-Sheikh, e che vi parteciperanno i ministri degli Esteri dei paesi confinanti con l’Iraq, dei cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e dei paesi del G8 (quindi ci sarà anche l’Italia) più il Canada. Lo stesso Zebari ha illustrato gli scopi della conferenza, sottolineando che “intende spingere gli stati confinanti, le superpotenze e i paesi industrializzati ad aiutare l’Iraq nel migliorare le condizioni di sicurezza e di stabilità interna”. Inoltre, ha aggiunto Zebari, la conferenza “si pone l’obiettivo di stemperare la tensione, incoraggiando il dialogo tra le parti coinvolte nella crisi irachena”. Il primo incontro di Baghdad, secondo lo stesso ministro degli Esteri, è stato utile a “rompere il ghiaccio” e come “punto di partenza”.
Secondo quanto riportato da fonti del Dipartimento di Stato americano, Coondoleeza Rice parteciperà alla conferenza di Sharm el-Sheikh con l’intento di dialogare direttamente con gli iraniani. Ciononostante, la battaglia diplomatica non conosce sosta. Mentre il portavoce del Dipartimento di Stato, Sean McCormack, dice di non sapere ancora se gli iraniani parteciperanno o meno alla conferenza, il portavoce del ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Ali Hosseini, ha dichiarato che gli Stati Uniti “stanno mostrando segni di cedimento nei riguardi dell’Iran”. Hosseini ha poi negato che ci sia un nesso tra la questione degli ostaggi e la partecipazione al vertice egiziano, comunicando infine che il ministro degli Esteri del suo paese, Manouchehr Mottaki, parlerà con la sua controparte irachena Hoshiyar Zebari, per discutere della vicenda. Un modo elegante per far sapere al resto del mondo che i panni sporchi si lavano in famiglia e, se qualcuno non l’avesse ancora capito, di questa famiglia non fanno certo parte bandiere a stelle e strisce.