Per Nolte l’islamismo è solo l’ultima evoluzione di bolscevismo e fascismo
10 Maggio 2009
di Vito Punzi
Non dovrebbe stupire più di tanto constatare come il nuovo libro di Ernst Nolte, da un poche settimane nelle librerie tedesche, abbia suscitato subito eco e reazioni significative sulle stampa tedesca. A ben guardare, erano alcuni anni che lo storico di Witten non produceva novità significative e dunque i suoi lavori più recenti erano passati pressoché sotto silenzio. Ma non poteva essere questo, appunto, il destino, del suo ultimo (Die dritte radikale Widestandsbewegung: Der Islamismus, Landt Verlag, Berlin 2009, p. 413, € 39,90), dedicato all’islamismo, inteso come “terzo movimento di resistenza radicale”, accanto a bolscevismo e fascismo.
Protagonista nel 1986 di quello che è passato alla storia come “Historikerstreit” proprio per le sue analisi dedicate ai due grandi fenomeni totalitari del XX secolo, Nolte torna a suscitare polemiche dunque con questo corposo studio, frutto di una lunga gestazione, nel quale il “pensatore della storia” finisce col ritrovare nell’islamismo, inteso come dimensione bellica e dogmatica dell’islam, elementi comuni con le due citate ideologie.
Da grande personalità quale è, Nolte non ha difficoltà ad ammettere i propri limiti nella conoscenza dell’oggetto e tuttavia, essendo l’islamismo ormai argomento di diffuso dibattito pubblico e fenomeno riconosciuto d’opposizione radicale al “moderno”, ha ritenuto necessario non lasciare ai soli islamisti e orientalisti, insomma agli specialisti, il compito di dibattere un tema così “di moda”. E’ per questo che il Nolte ormai ultraottantenne, sollecitato dai fenomeni di violenza scatenati negli ultimi anni su scala planetaria, ha deciso di affrontare l’avventura di una nuova conoscenza: studiare l’islamismo non tanto come fenomeno isolato, piuttosto nelle sue relazioni storiche e ideologiche con i movimenti totalitari novecenteschi. Ed è proprio quest’obiettivo, condizionante di necessità anche il metodo della ricerca, ad essere stato duramente criticato, in particolare da Walter Laqueur, ritenuto uno fondatori della ricerca sulle origini del terrorismo. Con una recensione apparsa il 17 aprile scorso su “Die Welt”, lo storico e politologo ha usato non poca prosopopea per “smontare” il libro di Nolte, dando indicazioni su come e che cosa si sarebbe dovuto indagare: “Da un nuovo studio sull’islamismo ci si attenderebbe che tratti delle sue radici medievali (Ibn Taimiyeh), come anche del wahabismo, del salafismo egiziano e naturalmente degli essenziali sviluppi nel subcontinente indiano”. Invece, sottolinea Laqueur, “Nolte parla degli inizi dell’islamismo solo a partire da pagina 221”, perché fino a quel punto “il lettore apprende molto non solo sul curriculum dell’autore, ma anche sul marxismo, il comunismo sovietico, il fascismo e il nazionalsocialismo”. Insomma, per l’americano quest’ultimo di Nolte sarebbe poco più che una ripetizione di antiche tesi.
In realtà, il “terzo movimento di resistenza radicale” poteva essere colto nei tratti che lo rendono prossimo alle altre due “rivoluzioni conservatrici” solo rilanciando le caratteristiche del marxismo e del nazionalsocialismo e questo è ciò che fa il tedesco in quella lunga prima parte del lavoro così poco apprezzata da Laqueur. L’elemento essenziale che lega i tre “movimenti” è l’aspirazione di salvare le relazioni di vita primordiali dalla modernità. Da qui Nolte parte per raccontare la storia del confronto dell’islam con il mondo a partire dal XIX secolo, iniziando dall’arrivo di Napoleone in Egitto, attraverso il sionismo, interpretato come la sfida decisiva della modernità al cuore dell’islam, per finire con l’islamismo, inteso come forza rilevante nel contesto del conflitto globale.
Taciuta dai suoi detrattori (Laqueur), ma anche dai suoi estimatori (Josef Schmid su “Deutschlandradio”), a Nolte premeva centrare la domanda su quale sia il nemico contro il quale combatterono bolscevismo e fascismo e contro il quale combatte oggi l’islamismo. Il nemico, questa è la risposta del tedesco, non è il capitalismo, e non è neppure l’ebraismo. “E’ piuttosto un «qualcosa» presente nel capitalismo”, precisa Nolte, “che è stato a lungo preso in esame da pensatori ebrei e non ebrei: la ricchezza più interiore, o meglio, il destino vero dell’uomo, che va «oltre se stesso», cioè […] la trascendenza, la necessità di porsi in un rapporto emozionale con il mondo nella sua interezza”. Una considerazione che lo conduce all’origine stessa del male, la ribellione dell’uomo contro il suo creatore. “Se è giusta la tesi degli ideologi islamici”, prosegue Nolte, “secondo la quale l’islam null’altro è se non il ritorno dell’essenza ribelle dell’uomo contro l’armonia dell’universo creato da Dio, allora il concetto di «trascendenza», inteso come qualcosa di negativo e dunque da negare, si lascia usare [nell’islamismo] in maniera non diversa da come venne usato da Lenin e Hitler”.
La lucidità con la quale Nolte riesce a “leggere” i grandi movimenti della storia umana in relazione alle aspirazioni del singolo e l’urgenza del tema rendono anche quest’ultimo suo lavoro, nonostante il limiti da lui stesso ammessi, uno strumento di confronto da cui è difficile prescindere.