Su Fiat-Chrysler c’è chi fa (Marchionne) e chi disfa (Rinaldini)

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Su Fiat-Chrysler c’è chi fa (Marchionne) e chi disfa (Rinaldini)

18 Maggio 2009

"Calcolando l’Unione europea a 27 (compresi i nuovi stati membri), Fiat Group Automobiles ha immatricolato ad aprile 121.671 vetture nuove, segnando un rialzo del 4,7% rispetto ad un anno fa. In Europa occidentale, il solo marchio Fiat ha immatricolato il mese scorso 94.836 unità, in aumento del 5,7% rispetto ad aprile 2008. Il marchio Lancia scende dell’1,2% (a 10.769 unità) e Alfa Romeo avanza del 5%, a 10.043 unità". Così un dispaccio Ansa del 14 maggio scorso.

In quella stessa giornata il Governo si sforzava di dare assicurazioni ai lavoratori preoccupati per il destino degli stabilimenti italiani.

"Certamente è comprensibile la preoccupazione dei lavoratori come vi è preoccupazione anche nel Governo – sono parole del ministro Sacconi – per quanto riguarda il futuro dell’industria dell’auto nel nostro Paese".  Eppure, sabato scorso, l’impostazione e gli slogan della manifestazione promossa dalle quattro principali federazioni di categoria a Torino andavano ben oltre le comprensibili preoccupazioni di lavoratori che vogliono aver chiara la prospettiva del loro posto di lavoro.

Anche senza attribuire alla grave provocazione dei Cobas (molto forti nello stabilimento di Pomigliano) più importanza di quella che merita, troppi restano gli interrogativi sulla linea di condotta dei sindacati tradizionali, i quali – ancor più di quelli tedeschi e diversamente dalle Unions statunitensi e canadesi – sembrano non essersi sono resi conto dell’importanza dell’operazione Fiat-Chrysler (ancor più se si unirà la Opel). E neppure delle sue inevitabili conseguenze per quanto riguarda i processi di ristrutturazione produttiva e degli organici.

Mentre crollano il Pil e la produzione industriale dell’Italia e dell’Eurozona il gruppo torinese incrementa del 5% le vendite e conquista nuove quote di mercato. Era sbagliato, quindi, lo slogan della manifestazione: "Da Nord a Sud la Fiat cresce solo con noi", perché è vero il contrario. Una Fiat che si "chiudesse in casa" (magari "nazionalizzata" come hanno chiesto gli ultras ieri) sarebbe condannata, in breve, a ripiombare nella situazione pre-fallimentare in cui versava soltanto pochi anni or sono.

I (pochi) colossi dell’auto (in un futuro ormai prossimo) potranno reggere la sfida soltanto attraverso la piena valorizzazione della dimensione multinazionale delle imprese.

In sostanza, le grandi holding dell’auto del futuro dovranno avere stabilimenti nelle aree strategiche del mondo, laddove è attesa un’esplosione dei mercati. Prima ancora che una comprensibile esigenza di disponibilità delle reti commerciali e dei trasporti, c’è un problema di costi concorrenti.

Nell’industria dell’auto il costo del lavoro continua ad avere un rilievo determinante nella battaglia per la competitività sui mercati internazionali. Delocalizzare, aprire degli stabilimenti in Polonia o in Romania non significa affatto privare del lavoro gli operai italiani o francesi, ma poter applicare ai lavoratori dell’Europa benestante dei contratti di lavoro e dei sistemi di welfare che altrimenti sarebbero insostenibili.

In altre parole, se non ci fosse il costo del lavoro di un operaio polacco o rumeno o indiano a riequilibrare quello di un lavoratore dello stabilimento di Pomigliano o di Termini Imerese, le auto prodotte in Italia non godrebbero di margini adeguati. C’è poco da dire e da fare. E’ normale che il settore manifatturiero si sposti continuamente alla ricerca di condizioni più vantaggiose nell’utilizzo della forza lavoro. Tanto più che la manodopera dei Paesi in via di sviluppo presenta parecchie convenienze: è giovane, conosce l’inglese, ha voglia di lavorare e, se può farlo in patria senza dover emigrare, è ancora più contenta.

Nei paesi occidentali resteranno le "intelligenze strategiche" dei grandi gruppi. E se così sarà, quale migliore ubicazione può trovare un’impresa leader mondiale del settore dell’auto se non a Detroit? Ad un passo cioè dal cuore finanziario e produttivo del mondo sviluppato. Quanto agli interlocutori sindacali di Sergio Marchionne ha avuto migliore fortuna in Canada e negli Usa che in Italia e in Germania.

La vecchia Europa sa dire solo dei no o esprimere dubbi, come se vi fosse sempre una "uscita di sicurezza" dalle situazioni difficili. Gianni Rinaldini ha già pronta la valigia per andarsene in giro per il mondo nel tentativo di disfare ciò che Marchionne si sforza di costruire.