Fini vuole cambiare la Costituzione e attacca sul bio-testamento

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Fini vuole cambiare la Costituzione e attacca sul bio-testamento

28 Marzo 2009

Usa toni concilianti con Berlusconi ("il Pdl non sarebbe nato senza la sua lucida follia"), riafferma la forza della sua leadership "voluta e riconosciuta" dagli elettori, ma tiene il punto sull’agenda di lavoro del nuovo soggetto politico e pure del governo. Gianfranco Fini parla alla platea dei delegati nella seconda giornata congressuale alla nuova Fiera di Roma e lancia messaggi allo stato maggiore del soggetto politico.

Lo fa sulle riforme "necessarie al Paese" (cita pure quella dei regolamenti parlamentari al centro di tensioni nei giorni scorsi con Palazzo Chigi), sulla necessità di "aprire una stagione costituente" perché la seconda parte della Costituzione "va rivista" per completare la transizione e innovare l’Italia. Ma è su referendum elettorale, immigrazione e testamento biologico che l’ex leader di An spara le sue cartucce con un effetto facile da individuare: l’apertura di un nuovo fronte di dibattito nelle file della maggioranza. Dibattito sì, ma anche polemiche.

La consultazione popolare di giugno. Fini invita al confronto nel Pdl ma, rivolto a Berlusconi, si domanda se "ci siano le condizioni" per realizzare l’auspicio del premier "verso un sistema bipartitico". E siccome il referendum di giugno consente un’accelerazione in questo senso, sollecita il Popolo della Libertà a prendere posizione e decidere come comportarsi. Torna a battere il tasto della laicità dello Stato e si domanda se il ddl uscito dal Senato sia un testo più etico che laico. Anche qui lascia spazio alla discussione nel partito (c’è chi ascoltando le sue parole dice che il messaggio di Fini sarà musica per le orecchie della sinistra), consapevole che la sua "è una posizione di minoranza nel Pdl" e tuttavia, seppure indirettamente, lancia un affondo su una questione che in queste settimane ha acceso il dibattito politico nei due schieramenti e nella società.

Il tema dell’integrazione. Fini richiama la Carta dei valori del Ppe soffermandosi sulla centralità della "dignità della persona"  e declinando su questo il concetto già espresso una settimana fa all’ultimo congresso di An aggiunge: occorre considerare chi viene da noi prima come una persona  poi come un immigrato e il riferimento corre in particolare ai bambini. Poi la proposta: dare "nuovi percorsi per la cittadinanza" individuando un ruolo centrale nella scuola. Forte il richiamo all’etica dei doveri, all’assunzione di responsabilità,  che contrappone a una cultura orientata solo alla tutela dei diritti. Chiude l’intervento conn un nuovo "abbraccio" al premier. La platea applaude, migliaia di bandiere tricolore sventolano, ma tra i delegati c’è anche chi, un po’ perplesso, si domanda se Fini nel giorno della nascita del Pdl si senta già proiettato al dopo-Berlusconi.

In mattinata gli interventi dei ministri. Il colpo d’occhio che la platea offre è di sicuro effetto e serve per richiamare la forza di un simbolo che è la storia di un popolo: una distesa sterminata di bandiere tricolore. E se la prima parte della mattinata aveva registrato una partenza un po’ a rilento con i delegati in ritardo sulla tabella di marcia, è sulle relazioni dei ministri  che raccontano l’azione del governo e rilanciano la sfida della modernità che la platea dei semila delegati si scalda. Standing ovation per Renato Brunetta, tra i ministri più gettonati nei sondaggi a go-go. "Basta, basta che mi commuovo…", dice e un secondo dopo si passa la mano sugli occhi. Rilancia la lotta alle "burocrazie pasrassitarie, ovunque esse si annidano", lancia strali all’indirizzo della sinistra "che non ha ancora fatto i propri conti con la storia ed oggi la sua crisi sta nella mancanza di idee". Indica la strategia quando dice che "la vera lotta di classe del nostro tempo non è quella tra capitale e lavoro cui continuano a ispirarsi i partiti della sinistra. La vera lotta di classe è quella tra il buon lavoro, il buon capitale e la classe sfruttatrice che è quella delle burocrazie parassitarie". L’obiettivo: "Realizzare una nuova Italia". Come? "Stando e lavorando dalla parte dei cittadini e di quelle energie positive – dipendenti, professionisti, il popolo della partita Iva, i giovani e gli anziani". Merito e rigore, il leit motiv del ministro Gelmini che individua nel pragmatismo la cifra dell’esecutivo. "Nella scuola è finito l’indrottinamento culturale. Abbiamo reintrodotto merito, disciplina, regole".

Analisi più politica quella del ministro Giorgia Meloni (applauditissima) che vede nel Pdl la nascita del "primo partito italiano dell’era moderna, la dimora del senso comune degli italiani, senza paura di sporcarsi con la realtà di tutti i giorni, di passare per retrogradi e populisti, ma con la certezza di essere veri, autenticamente popolari". Non risparmia un monito, anzi una sollecitazione alla classe dirigente del partito unico quando rimarca che non si può e non si deve "avere paura del contributo di energie, freschezza e idealità che puo arrivare da questa giovane generazione". Non a caso definisce "fondamentale" la creazione di un movimento giovanile che si rispetti, indipendente, ma tanto autonomo da eleggere dal basso i propri dirigenti. In sostanza un laboratorio politico che propone, costruisce, elabora e al quale attingere  "per schierare la futura classe dirigente del partito e della nazione". A mezzogiorno in punto scatta l’ovazione per l’ingresso in sala del premier. Bandiere tricolore al vento e stacchetto musicale sul ritornello "Meno male che Silvio c’è". Il resto consegna alle cronache del congresso l’atteso intervento di Fini. E il dibattito che ne seguirà.