Con la nascita dell’OMC si è affermato il diritto internazionale

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Con la nascita dell’OMC si è affermato il diritto internazionale

25 Aprile 2009

Questo articolo tratta di quanto accadde il 15 aprile 1994 a Marrakech, in Africa, dove, dopo 8 anni di negoziati, furono sottoscritti il Trattato che istituiva l’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC) ed una serie di altri Accordi ad esso allegati. Tali Accordi, che richiamano anche le altre fonti del diritto inter-nazionale (Organizzazione Mondiale della Salute, Organizzazione Internazionale del Lavoro, etc.), costituiscono il corpus delle norme che definiscono e disciplinano il mercato globale. Con l’istituzione dell’OMC (o WTO), “il mondo non sarebbe stato più, e non è più, come prima” (G. Tremonti, 2007). 

Quali sono, dunque, i grandi sconvolgimenti prodotti dall’OMC? In Italia non li abbiamo ancora osservati, non ce ne siamo ancora occupati. La vera rivoluzione di Marrakech, va detto, non è economica (relazioni economico-commerciali tra i continenti ce ne sono sempre state), ma giuridica; e lo schema entro il quale l’OMC si sviluppa ed opera è quello, tipico e ben noto, del diritto inter-nazionale. Al cui centro ci sono le Nazioni, in capo alle quali si pongono diritti, doveri, responsabilità, poteri. Ai tavoli delle Organizzazioni Internazionali siedono e votano le Nazioni. Le norme del mercato globale, le sole a cui tutti gli Stati devono sottostare, sono quelle delle Organizzazioni Inter-nazionali. Se una nazione viola una disposizione OMC, un’altra nazione può adire le vie legali contro di essa. Tutte queste novità non si conciliano con il mito dell’UE e dell’integrazione comunitaria, che ha invece demonizzato la categoria “nazione”. Ed allora esse vanno negate, ignorate.

Esaminiamo gli effetti di questa finzione. Se le esportazioni cinesi di prodotti tessili in Italia aumentano in misura tale “da causare o minacciare di causare un serio danno all’industria domestica produttrice di prodotti simili” (art. 2 dell’Accordo OMC sulle misure di salvaguardie), l’Italia può introdurre misure nazionali di salvaguardia e assicurare la protezione del diritto OMC alle proprie imprese del settore? Se l’art. IX GATT autorizza i membri OMC ad introdurre norme nazionali che impongano ai prodotti d’importazione l’indicazione dell’origine, può l’Italia imporre l’etichetta del “made in”? Se l’art. 11 dell’Accordo OMC sulla determinazione dei valori in dogana stabilisce che “la legislazione di ciascun Membro deve prevedere, in merito alla determinazione del valore in dogana, il diritto di appello, non soggetto a penalità, per l’importatore o per qualsiasi altra persona soggetta al pagamento dei diritti”, deve l’Italia modificare in tal senso il proprio sistema giudiziario? Se l’Intesa OMC per la soluzione delle controversie stabilisce che un Membro può ricorrere in primo (art. 6) e in secondo (art. 17) grado ove ritenga che un altro Membro ha violato le norme OMC, può l’Italia avvalersi di tali diritti contro la Cina, contro la Germania, contro gli USA, contro la Francia? Se il Trattato OMC accorda a ciascun Membro il diritto di voto, è l’Italia titolare di tale responsabilità?

Per la finzione europeista la risposta è no, per il diritto è sì. L’Italia è infatti membro dell’OMC, quindi titolare di tutti i diritti e tutti gli obblighi che si associano a tale status. L’Italia poteva non divenire membro dell’Organizzazione Mondiale del Commercio, ma certamente non può, né unilateralmente né in accordo con un ristretto gruppo di membri, modificare le implicazioni giuridiche che tale status comporta. Nel mercato globale, che l’Italia sia membro dell’Unione Europea è dunque del tutto irrilevante. La stessa Unione Europea, i suoi trattati, i suoi organi, i suoi regolamenti, le sue direttive, non hanno alcun valore giuridico. L’errore che commettiamo da 15 anni è pensare il contrario, presumere cioè di poter imporre al mondo l’anomalia “UE”. Da 15 anni l’Italia gioca la partita OMC con in mano il manuale di un altro gioco (i trattati comunitari), che invece intanto è finito. Qualcuno, audacemente, cerca di aggrapparsi al mito dell’unità europea e di convertire l’Unione Europea in Stato: se non fosse grottesco, sarebbe un tentativo di colpo di stato! A differenza di quanto scritto dal prof. Tremonti (“Il negoziato Unione europea – Cina sul WTO viene chiuso il 19 maggio 2000. A questo punto per i singoli Stati europei l’adesione è un atto dovuto”), a Doha, nel 2001, quando si deliberò l’accesso della Cina all’OMC, la delegazione italiana votò a favore, sotto la propria piena responsabilità. Da 15 anni la Cina, l’India, il Brasile, così poco “europeisti”, esercitano appieno tutti i diritti che il sistema globale accorda loro. L’Italia, al contrario, si comporta in maniera inconsapevole e sacrifica l’interesse nazionale in nome della “superiore” esigenza di far apparire l’Unione Europea ancora viva.

Ecco dunque lo specchio deformante che impedisce agli italiani di capire la globalizzazione. L’Unione Europea – che a Roma, a Berlino e a Parigi si crede di poter modellare a tavolino, a prescindere dalle categorie del diritto – calata nel sistema giuridico inter-nazionale, evapora. L’Italia, al contrario, come nazione, viene chiamata a svolgere il suo ruolo. Quindici anni di acrobazie linguistiche hanno impedito che la verità emergesse. Acrobazìe degli studiosi (“Nell’ultimo quarto di secolo l’ordine giuridico globale ha fatto passi da gigante, per cui il diritto gioca in esso un ruolo determinante … Al centro del sistema vi è l’OMC … Dall’esame qui fatto sono esclusi gli organismi ‘regionali’, come l’Unione Europea, che evolvono in poteri pubblici comparabili agli Stati, anche se da essi diversi”, Sabino Cassese, “Oltre lo Stato”, 2006). Acrobazìe della politica (nel 1994, a soli 37 giorni dalla riunione di Marrakech, quando occorreva stabilire chi, se gli Stati o l’UE, avesse la responsabilità di sottoscrivere o meno il Trattato OMC, si evitò di affrontare il problema e così firmarono sia i governi sia la Commissione Europea). Quel che rileva è che l’Italia ratificò il Trattato OMC, con la legge n. 747 del 29 dicembre 1994. In accordo con l’art. 11 della Costituzione, tale legge, si ritiene in questo articolo, ha abrogato la legge italiana di ratifica del trattato comunitario di Roma.

Se a Ginevra l’impossibile coesistenza tra la realtà (del diritto internazionale) e la nostalgia del sogno (UE) è stata gestita per via di prassi, cosa è accaduto in questi 15 anni nei porti, nelle questure, nelle aule dei tribunali e in tutte quelle situazioni nelle quali è necessario individuare la norma vigente ed il diritto da applicare? Qui l’accorgimento utilizzato può apparire più raffinato, ma in realtà non è meno ardito. Dimentichi del fatto che l’art. 11 della Costituzione Italiana parla di Organizzazioni Internazionali e non di Europa (i costituenti valutarono e deliberatamente scartarono questa seconda ipotesi: si veda il dialogo Bastianetto-Ruini nella seduta del 24 marzo 1947 dell’Assemblea Costituente), i giudici, i legislatori (Stato, regioni), i funzionari amministrativi italiani – lo stesso mondo della ricerca – hanno infatti “semplicemente” aderito a quanto affermato dalla Commissione UE e dalla Corte di Giustizia delle C.E., le quali da 15 anni “semplicemente” fingono che l’Organizzazione Mondiale del Commercio non esista (eppure è in applicazione dell’art. VII del Trattato OMC che l’Italia versa ogni anno il suo contributo – oltre sette milioni di euro ! – al bilancio OMC). La Corte di Giustizia delle Comunità Europee, di fronte alla rivoluzione copernicana della globalizzazione giuridica, continua così, tolemaicamente, a collocare al vertice delle fonti i trattati europei e ribadisce che gli accordi OMC non hanno rilevanza (caso C-377/02). Poche, ma autorevolissime, le voci che si sono alzate contro questa «inaccettabile» finzione. Tra queste, quelle di Antonio Tizzano, Giuseppe Tesauro, James Bacchus, U. Everling.

“… almeno parte della nostra dottrina si è da qualche tempo posta in termini più concreti e quindi più produttivi, abbandonando finalmente la pretesa .. di poter tutto semplicisticamente risolvere deducendo dalle solite generiche considerazioni sulla cd. sopranazionalità e quindi sulle finalità e le caratteristiche del processo d’integrazione comunitaria … E’ da sottolineare peraltro .. l’orientamento finora espresso dalla Corte cost. che assimila, sotto il profilo in considerazione, i trattati comunitari agli altri trattati internazionali … [I fautori della ‘primauté’ del diritto comunitario] .. peccando ancora una volta di … troppo amore comunitario, essi sono sembrati unicamente ispirati dall’ansia di ‘privilegiare’ a tutti i costi i trattati europei, per farne una sorta di supertrattati, di valore inusitato e di forza irresistibile, in nome non tanto di rigorose valutazioni scientifiche o di indiscutibili dati normativi, quanto di apodittiche proclamazioni di ‘novità’, ‘diversità’, ecc. direttamente connesse alla dichiarata superiorità e assolutezza dei fini politici ultimi perseguiti … Nessun argomento decisivo, invero, risulta provare la pretesa diversità di ‘posizione’ tra le norme immesse nell’ordinamento italiano in osservanza dei trattati internazionali, secondo che ci si riferisca a quelli comunitari o agli altri” ("Pretesa diversità di effetti del G.A.T.T. e dei Trattati comunitari nell’ordinamento italiano", in "Il Foro Italiano", 1973, n. 9, I).

 “… sulle differenze tra GATT e OMC possiamo esaurirci in un lungo ed approfondito esercizio dialettico, dicendo tutto o il contrario di tutto sui miglioramenti intervenuti nella ‘giuridicità’ del sistema e sulla idoneità delle norme, ora o allora, a fungere da parametro di legittimità ad essere invocate dai singoli. La soluzione non c’è, per il semplice motivo che le ragioni dell’orientamento della Corte, se guardato in trasparenza, sono altrove. Ciò che si ricava con sufficiente chiarezza, soprattutto dalla lettura congiunta della sentenza banane (sent. 5 ottobre 1994, causa C-280/93, Germania c. Consiglio ..) e della sentenza del latte (Sent. 10 settembre 1996, causa C-61/94, Commissione c. Germania ..), è un dato non tanto giuridico quanto soprattutto di opportunità o di politica istituzionale, se si preferisce. In sostanza, si vuole lasciare alle istituzioni politiche, cioè alla Commissione ed al Consiglio, la interpretazione e più in generale la ‘gestione’ delle norme convenzionali che ci occupano, ieri GATT ed oggi OMC … Ritengo invero inaccettabile, questo sì, l’idea che l’idoneità delle norme OMC, e già del GATT, a fungere da parametro della legittimità della norma comunitaria nazionale confliggente sia condizionata all’effetto diretto della norma stessa, così come la Corte di giustizia ha fino ad oggi affermato” (Giuseppe Tesauro, in “Diritto e Organizzazione del commercio internazionale dopo la creazione della Organizzazione Mondiale del Commercio”, Società Italiana di Diritto Internazionale, II Convegno, Milano, 5-7 giugno 1997, Editoriale Scientifica).

 “When former international trade judge James Bacchus speaks of a ‘legal time bomb’ ticking away inside the World Trade Organization, he is not warning of an explosion at the WTO’s Geneva headquarters … Most of the several hundred regional free trade agreements negotiated in the last decade have not actually received the WTO’s stamp of approval, certifying they are in compliance with Article XXIV – a provision that allows countries to form regional trade blocs, such as the European Union or the North American Free Trade Agreement, and grant better status to selected trade partners … ‘This is a legal time bomb waiting to happen’, Bacchus said recently …”. (“Contradiction in WTO rules could develop into trade fight”, The Miami Herald, 1 nov 2004).

“Il GATT non è la caricatura di un accordo internazionale, ma è obbligatorio per la Comunità ed i suoi Stati Membri. Esso va quindi preso sul serio dalle istituzioni e dalla Corte” (Everling U., “Will Europe slip on bananas? The bananas judgment of the Court of Justice and National Courts”, 1996).

Se si vuole che sul mercato globale si affermi realmente il diritto internazionale, occorre rimuovere definitivamente, dalle menti, dai cuori e dalle biblioteche, l’idea di poter tenere in piedi l’Unione Europea, la quale, per un elementare bisogno esistenziale, del diritto internazionale è acerrimo antagonista. Sarà grazie a questa liberazione che gli italiani, almeno quelli che hanno a cuore il destino dell’Italia e dell’Europa più che il destino degli organi dell’Unione Europea, potranno abbandonare la paura e riabbracciare la speranza.