Per Ballard il futuro era nascosto nelle pieghe della nostra mente
26 Aprile 2009
Domenica 19 aprile è morto James Graham Ballard. Autore di quindici romanzi e di un numero imprecisato di racconti, lo scrittore inglese era nato a Shanghai nel 1930 da genitori britannici. Internato in un campo di concentramento giapponese durante la Seconda Guerra mondiale, nel 1946 si trasferisce in Gran Bretagna, paese di cui conosce lingua e cultura ma che per il resto gli è estraneo. Il nuovo ambiente, le voraci e sterminate letture di narrativa, di psicologia e di psichiatria che compie negli anni del liceo, i vividi ricordi della prigionia, della campagna cinese e della nativa Shanghai si fondono in lui con la memoria della guerra, degli aerei e della immensa esplosione atomica di Hiroshima per costituire un amalgama vibratile da cui fioriranno i paesaggi di tante sue pagine. Paesaggi esteriori ma anche interiori. Non voglio qui né riassumere la sua vita né fornire un resoconto della sua produzione letteraria, che altri hanno saputo e sapranno fare meglio di me: desidero invece parlare di alcuni aspetti della sua scrittura.
Definito autore di fantascienza, Ballard certo lo è stato, e dei maggiori, ma di specie e qualità particolari, per cui occupa un posto a parte in questo genere, che egli stesso ha contribuito a far uscire dai circoli specializzati per inserirlo nel circuito “mainstream”. Animato dalla persuasione che l’unica forma di letteratura possibile del Novecento (e ancor più del XXI secolo) fosse quella fantascientifica, egli ha declinato in forme nuovissime e suggestive questa forma, conferendole una torsione sorprendente, che l’ha allontanata dalla fantascienza classica delle astronavi e dei robot per avviarla lungo strade inedite, segnate da uno sguardo analitico al limite del morboso sul cosiddetto “spazio interiore”, locuzione da lui introdotta per indicare i labirinti della psiche e della memoria individuale e collettiva, e il rapporto ambiguo e problematico che s’instaura tra i personaggi e i luoghi da essi abitati. I suoi studi di medicina, interrotti prematuramente, e le sue letture di Freud e di Jung gli offrono un materiale frammentario e un lessico approssimativo ma efficace con cui costruisce estroflessioni psichiche che si concretano in mondi alternativi e stranianti. Il disadattamento interiore, la sofferenza mentale, il disagio sociale si proiettano quindi in paesaggi inediti e spesso catastrofici.
La corrispondenza tra psiche e paesaggio si fa evidente in romanzi come “Il mondo sommerso” o “La foresta di cristallo,” in cui si osserva anche un potente rimescolamento temporale, per cui il futuro non è altro che la riscoperta di dimensioni sepolte della storia. Come ha notato Antonio Caronia, “è come se Ballard fosse convinto che il vero futuro giace dimenticato in qualche piega della nostra mente.” E da quella piega il passato-futuro è pronto a scaturire per foggiare scenari in cui si uniscono elementi naturali ed elementi artificiali. Le catastrofi (glaciazioni, siccità e altri sconvolgimenti climatici) che hanno cambiato il mondo e continuano a trasformarlo in un luogo inospitale e pericoloso sono dovute all’azione combinata di fattori umani e di fattori naturali, e spesso sembrano portare il ricordo di un evento primordiale che si può identificare forse con la grande deflagrazione atomica.
L’inserimento dell’artificiale obbedisce alle leggi di una zoologia e di una botanica singolari: la raffinata tecnologia del Novecento produce macchine e sistemi dotati di una loro vita, capaci dunque di inserirsi nel gioco psicologico dei protagonisti, di condizionarlo e di esserne condizionati. Scambio continuo tra psiche e paesaggio da una parte e fusione di evoluzione naturale ed evoluzione culturale dall’altra: sono queste le premesse da cui scaturiscono il fascino sottile ed enigmatico e il surrealismo ieratico di tante pagine ballardiane. La tendenziale assimilazione della tecnologia agli oggetti naturali le consente di operare sull’essere umano come i fiumi e i tramonti, cioè con effetti estetici profondi e inconsapevoli.
Così come il macrocosmo, cioè il mondo naturale, è riflesso e compendiato nel microcosmo, cioè nell’uomo, così anche il cosmo artificiale si trascrive in noi, e in particolare nel nostro sistema nervoso, dando luogo alle “icone neuroniche sulle autostrade spinali” de “La mostra delle atrocità.” Commenta Ballard: “Qui, come ovunque nel libro, il sistema nervoso dei personaggi è stato esteriorizzato, come caso particolare di un più generale rovesciamento fra mondi interni ed esterni. Autostrade, uffici, volti, segnali stradali, sono percepiti come se fossero elementi difettosi di un sistema nervoso centrale.”
E a proposito di questo romanzo singolare e sconvolgente, “La mostra delle atrocità”, Ballard vi profonde le sue cognizioni di medicina e di psichiatria per creare un incubo della contemporaneità, imperniato sull’equazione macchina-eros, da cui segue l’altra, e più raccapricciante, incidente d’auto-coito, basata sulla fusione di carne e di metallo. Ma non si tratta di pornografia, bensì di una tagliente e impietosa messa a nudo delle ossessioni, delle fantasie e delle brame della nostra epoca tecnologica. Come ha scritto William S. Burroughs, “è un libro intenso e inquietante. Le radici non sessuali della sessualità sono esplorate con precisione chirurgica. Un incidente d’auto può essere sessualmente stimolante più di un’immagine pornografica.”
Le note che accompagnano il testo come un controcanto contribuiscono a immergere la narrazione nella cronaca di quegli anni: una cronaca per lo più cruenta e macabra, ma intrisa di morbosa sensualità latente, come l’assassinio del presidente Kennedy, la chirurgia plastica della principessa Margaret, la rinoplastica della regina Elisabetta, il progetto di una morte sessuale ottimale di Ronald Reagan, la catastrofe psichica rappresentata dalla morte di Marilyn Monroe, e poi atrocità, mutilazioni, un tripudio di braccia e di gambe mozzate dalle lamiere contorte degli scontri automobilistici. Una raffinata e angosciosa perversione tecno-sadomaso. Con queste intuizioni e con la sua interpretazione psico-simbolica della tecnologia, Ballard ha anticipato, e direi superato ante litteram, tanti piccoli e rumorosi scrittori di oggi che pure godono dell’attenzione e ohimé del favore della critica.