“L’opposizione? Non esiste. Pure Pannella fa il moralista”
26 Maggio 2009
"Sono stanco", mormora Gaetano Quagliariello accogliendomi nel suo ufficio di presidente vicario dei senatori del Pdl. "Per forza", verrebbe da dirgli guardando il suo viso smunto con un che di adolescente nonostante i 49 anni. Ti sei scaraventato dal letto e hai fatto scaraventare me per vederci presto di mattina e cominciare con una lunga intervista una giornata che per te si annuncia campale.
In Aula si discuteranno gli aiuti ai terremotati, l’opposizione non farà sconti e finirai per litigarci, ti dovrai poi spremere le meningi per ripetere con formule diverse – tre volte al giorno e su sei Tg – la tua campana: il centrodestra lavora, il centrosinistra chiacchiera. È più che certo che da Magna Carta, la fondazione che presiedi, ti chiedano un’intervista per l’Occidentale il giornale telematico. Tutt’altro che escluso l’arrivo all’ora pranzo – che perciò salterai – di un collaboratore con le bozze di uno dei libretti che la Fondazione sforna a ripetizione su legge elettorale, immigrazione, federalismo fiscale, ecc.
Neanche potrai impedire a te stesso – nonostante ti sia sospeso dall’attività di docente alla Luiss di Storia contemporanea finché dura il mandato – di pensare alla tua gloria di studioso. Quindi ti attaccherai al telefono con l’editrice "il Mulino" per sapere come stanno andando la tua biografia su De Gaulle e quella più recente su Gaetano Salvemini. Vero è – come si desume dal tuo cognome – che i tuoi avi erano vigorosi bracconieri (quagliara è una tecnica di uccellagione della prelibata quaglia), ma tu già da generazioni appartieni a una famiglia di intellettuali (sfibrati per definizione) originari di Napoli e trapiantati a Bari. Dovresti perciò soppesare le tue forze e non menare il torrone della stanchezza con un intervistatore che ora esige il meglio da te.
«Da docente a politico. Cambio di vocazione?», dico adesso a voce alta.
«Ho la politica nel sangue. Da bambino, invece che al dottore, giocavo alle elezioni. Da prof insegnavo Storia della politica. Siamo lì».
«Differenze tra i due mestieri?».
«I tempi dello studioso sono lunghi. Il politico coglie l’attimo fuggente. È stato l’adattamento più difficile».
«Eri radicale, oggi berlusconiano. Tendi alla metamorfosi?».
«Sono stato radicale dai 15 ai 22 anni. Significava non sprangare né essere sprangato. Ero liberale, garantista, anticomunista».
«Da radicale ti sei battuto per l’aborto».
«C’era la piaga dell’aborto clandestino. La legge 194 era un freno. Oggi, sono contro l’aborto. Non sono però per l’abrogazione della legge, ma per la sua esatta applicazione. La politica è il regno del possibile, non dei principi astratti».
«Sei passato da laico a laico devoto».
«Non mi sento ateo e neanche devoto. Ho avuto un’evoluzione personale per problemi privati».
«Cioè?».
«Ho sperimentato la sofferenza. Ti senti impotente e ti poni delle domande. Se la libertà non ha una dimensione oltre la terra diventa totalitaria e si trasforma in oppressione».
«Sei credente e praticante?».
«Odio fare il neofita (è imbarazzato). Ma se devo proprio definirmi, sono un credente con una pratica riluttante», e si appoggia esausto allo schienale come un Amleto in giacca nera e cravatta rosa.
«I tuoi erano dc. Tornato all’ovile?».
«Papà era nella Fuci (universitari cattolici, ndr), cattolico di sinistra, amico di Aldo Moro. Mi ha però lasciato libero di cercarmi la strada. Anche se soffriva vedendo che si allontanava dalla sua».
«Per Eluana Englaro hai urlato in Aula: “L’hanno ammazzata!”».
«Volevo fosse il Parlamento ad assumersi la responsabilità, non lasciare tutto a una sentenza. Il fatto che mentre ci stavamo riuscendo, arrivasse la notizia della morte, mi ha fatto scattare. Mi è sembrata una combinazione diabolica. Non casuale».
«Sul testamento biologico ti sei battuto contro l’autodeterminazione».
«No. Libero l’individuo di rifiutare le cure anche se questo ne determina la morte. Sono però contrario che si decida ora per allora».
«Il testamento è sempre a futura memoria».
«Quando lo fai non puoi prevedere i progressi della scienza. La malattia di mio padre è durata dieci anni. Una cosa sono state le cure iniziali. Completamente diverse alla fine. Se avesse preso decisioni all’inizio, avrebbe perso anni di vita. Il futuro deve restare aperto».
«Avrebbe sofferto meno».
«I giovani che hanno incidenti e sono intubati, al 99 per cento tornano a vita normale. Ma – vedi nei blog – sono migliaia i testamenti biologici di ragazzi che chiedono di non essere intubati e lasciati morire. Sono decisioni a priori basate su inconsapevolezza».
«C’è altro da dire?».
«Su queste cose sarebbe meglio non legiferare. Ci sono i medici e le famiglie per decidere. Ma nel caso Englaro si sono voluti i bollini, la magistratura si è intromessa e ci ha costretti a intervenire».
«Da radicale ti sei opposto al nucleare».
«Me ne pento amaramente».
«Che resta delle tue convinzioni passate?».
«Ero liberale e lo sono. Anticomunista e lo sono. Garantista e lo sono. Non è poco», dice e si rianima.
L’adrenalina scorre copiosa e l’intervista prosegue al galoppo.
Voterai il referendum elettorale del 21 giugno?
«L’ho sottoscritto e andrò per coerenza. La situazione è però cambiata. Allora non c’erano Pd e Pdl, ma una grande frantumazione di partiti che faceva pensare a una vera competizione. Oggi è scontato che vinca il Pdl».
Meglio per te.
«In politica è bene vincere, mai stravincere».
Capitolo immigrati. O migranti, tu come li chiami?
«Immigrati. Migranti è come colf: politicamente corretto».
Per il riaccompagnamento Onu e Chiesa ci danno addosso.
«Dobbiamo proseguire su questa strada e riaffermare la legalità. Mancando di una sua politica, l’Ue ha scaricato su di noi il fenomeno».
L’Onu ci accusa di razzismo e la sinistra tifa per una società multietnica.
«Se multietnico significa molte culture che si ibridano è ciò che accade in una società moderna. Se invece ogni cultura si chiude in sé è quello che succede in Olanda. Da un lato droga e prostituzione, dieci metri più in là donne col burka e chiese che diventano moschee. Invivibile. Il solo appiglio è la legalità».
Critico e non solo sugli immigrati è anche Fini.
«Ha un approccio spensierato ai problemi. Pensa che la libertà non corra pericoli lasciando che le cose vadano per il loro verso. Su questo ci sono differenze essenziali tra destra e sinistra. Poiché non voglio che il centrodestra annacqui le proprie convinzioni, cerco di ribattere colpo su colpo le posizioni di Fini».
La piazza si riscatena. Che succede?
«Si fa sentire la mancanza di un’opposizione con posizioni vere e forti. I toni della sinistra sono alti, ma vuoti. Solo antiberlusconismo. I militanti sono delusi e rischiano la libera uscita».
Franceschini?
«È fuori dal tempo. A parte la simpatia umana per il numero 13 che d’incanto diventa il numero uno e si gioca la partita della vita, è l’icona giovane di una cosa vecchia: l’alleanza tra post comunisti e cattolicesimo sociale. Una formula morta».
Di Pietro, il noto immobiliarista?
«A preoccupare non sono tanto le sue contraddizioni, quanto l’infinita ignoranza».
Dà voce a un certo elettorato.
«Penso non sappia quel che dice. Il fatto però che tutti dobbiamo farci i conti imbarbarisce la lotta politica. Rispondergli è tempo perso e impedisce alla sinistra di andare oltre l’antiberlusconismo».
D’Alema?
«Fa un’analisi vecchia. Pensa che ci debba essere un sistema frammentato con più partiti in cui la sinistra si accorda col centro e metta Berlusconi in un angolo».
È una tecnica.
«Non capisce che Berlusconi è il centro. Comunque, è un’analisi. Altre a sinistra non ne vedo salvo quella di Veltroni, verso il quale ho nutrito speranze, ma che alla prova dei fatti si è squagliato. D’Alema invece non si squaglia».
Pannella digiuna per le cose più futili.
«Ormai è intriso di conformismo, moralismo e perfino di giustizialismo. I radicali sono sempre in tribunale per denunciare questo e quello».
Sei il vice di Gasparri. Lui esuberante. Tu gelido. Come ve la passate?
«Abbiamo in comune buon senso meridionale, attaccamento al lavoro, un tipo di lealtà simile. Di lui sono amico, un termine che non uso con facilità. Confermo però che siamo antropologicamente diversi».
Tu intellettuale come giudichi il «cuménda» Berlusconi?
«Ha una straordinaria capacità di impossessarsi di analisi raffinate e trasformarle in senso comune. È stata l’essenza del suo rapporto con Baget Bozzo».
Se ti comportassi come il Cav, galante, allusivo, «papi» e compagnia, tua moglie come reagirebbe?
«Mia moglie è sarda».
Capisci quindi le ire di donna Veronica?
«Sono conservatore: non capisco come si possano portare in pubblico certi aspetti della vita matrimoniale. Già la lotta politica in Italia si fa dal buco della serratura. Se anche le vittime incoraggiano, è la fine».
Invidi però la vita esagerata del Casanova di Arcore?
«Non ho lo stesso temperamento».
Dai, è l’ultima domanda, sii spiritoso.
«Sarò invece serissimo. Comprendo le difficoltà di trovare un equilibrio esistenziale per una persona che è sulla breccia da 15 anni, sempre sotto attacco».
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