E’ ancora giallo sulla collocazione del Pd in Europa
04 Giugno 2009
Finora l’anomalia del Pd in Europa era rimasta sottotraccia, ai margini del dibattito, confinata nelle “varie ed eventuali” della politica italiana, come un argomento riservato soltanto agli addetti ai lavori. Ora, alla vigilia del voto, la difficile collocazione degli eletti del partito di Dario Franceschini nel Parlamento di Strasburgo e la nebbia che ancora avvolge il desiderio degli ex Dc di non essere affiliati al Partito Socialista Europeo finisce sotto i riflettori e diventa oggetto di dibattito e polemica politica.
”Con il Pd in questa campagna elettorale per le Europee si è tornati alla Prima Repubblica: ancora non dice ai suoi elettori con quale gruppo si collocherà nel Parlamento europeo” dice Silvio Berlusconi. ”Alla fine non andranno né con i liberali né con i socialisti ma formeranno un gruppo autonomo di 15-20 deputati che non conterà assolutamente niente. Noi invece – conclude – manderemo in Europa un grande gruppo che sarà decisivo nelle prese di posizione del Parlamento”.
Quello citato dal premier è sicuramente lo scenario più probabile visto che nessun accordo è stato ancora chiuso e il road-show fatto dai dirigenti ex Ds in Europa per convincere gli altri soci del Pse a cambiare la propria identità per venire incontro alle esigenze italiane non ha prodotto i risultati sperati.
L’obiettivo del Partito Democratico, nelle parole di Franceschini è quello di collocarsi in Europa in "un’alleanza tra socialisti e democratici. Per questo ho parlato con tutti i leader riformisti come Brown e Zapatero e ho spiegato che il Pd non può entrare nel Partito Socialista perché ha varie anime. Io ho proposto a loro di costruire un nuovo gruppo parlamentare in Europa in cui ci sia una componente socialista e una componente non socialista, un’alleanza tra socialisti e democratici. Siccome la decisione non dipende solo da noi ma da 27 Paesi, non posso dire che l’obiettivo è già raggiunto. Ma sono certo che si otterrà velocemente" nei giorni successivi alle elezioni europee”. Di certo, promette il segretario del Pd, non accadrà come nel 2004 quando Margherita e Ds scelsero due gruppi politici diversi a Strasburgo.
La risposta del Pse, però, è piuttosto tiepida e arriva attraverso le parole del portavoce del gruppo del Partito socialista al Parlamento europeo, Tony Robinson. "Il Partito democratico e il gruppo dei socialisti al Parlamento europeo condividono il forte desiderio di lavorare insieme in futuro su un certo numero di tematiche" all’Europarlamento. In pratica un esercizio di prudenza, accompagnato dalla sensazione che il traguardo di un accordo sia ancora lontanissimo. Per il Pd, insomma, il rischio di essere considerato in Europa come una sorta di ircocervo – animale mitologico citato da Aristotele del quale era impossibile risalire all’essenza e comprendere cosa effettivamente fosse – resta più che concreto.
In questo scenario decisamente complicato non bisogna, però, sottovalutare il rischio di una disfatta che corrono molti partiti aderenti al Pse. Gli inglesi e i socialisti francesi viaggiano sotto il 20 per cento, i socialdemocratici tedeschi sono quotati al 27 per cento, non troppo lontani dai democratici di Franceschini.
Gli unici che stanno meglio, i socialisti spagnoli, rischiano comunque di essere sorpassati dai popolari e di pagare il prezzo politico della crisi economica che sta investendo Madrid. Se davvero questa ondata di malumore e disaffezione dovesse colpire il Pse allora la “soluzione tecnica” proposta da Franceschini – ovvero l’adesione al gruppo del Pse ribattezzato però "Alleanza dei socialisti e dei democratici" – potrebbe avere maggiori possibilità di realizzazione.
Paradossalmente, insomma, l’Armageddon elettorale potrebbe favorire la ricostruzione su nuove basi del Pse e consegnare al Pd la possibilità di uscire dall’isolamento e dallo scacco strategico in cui rischia di ritrovarsi all’indomani del voto di sabato e domenica.