Eminem torna con “Relapse” dopo 4 anni di assenza e medicinali
13 Giugno 2009
Eminem è tornato, sesto album dopo quattro anni d’assenza. Nel frattempo è stato praticamente tutto ciò che un giovane rapper che scrive rime nella roulotte della madre possa mai sognare di diventare nelle sue fantasie più spinte. È stato disco di platino, ha vinto un premio Oscar, qualche Grammy Award, e ha anche occupato il numero uno delle classifiche di dischi e video.
E’ stato odiato da tutti, poi scagionato, imitato e screditato, assurto a poeta contemporaneo e considerato fra i più importanti musicisti del secolo persino da colleghi illustri.
C’è chi aveva dato la sua carriera per conclusa, chi lo vedeva ormai solo nelle vesti di produttore, attività a cui si è dedicato parecchio attraverso la sua etichetta Slim Shady Records, chi era convinto non sarebbe mai uscito dal piccolo inferno di dipendenza (alcool prima, medicinali poi) che l’ha tenuto lontano dalla scena per così tanto tempo, un tempo troppo lungo per la discografia.
Invece eccolo qua, che per il puro gusto di contraddire tutti e di tornare a dare fastidio, fa uscire un album densissimo e di livello stellare, prima parte (a quanto sembra) di un doppio album la cui conclusione dovrebbe essere pubblicata a fine anno.
Basi affidate completamente a Dr. Dre (scelta quantomai azzeccata), nessuna featuring modaiola, solo gli amici più stretti a collaborare in due tracce, il suo ormai cresciuto pupillo 50Cent e lo stesso Dre. Conscio dell’altissimo livello di attenzione a cui sarebbe stato sottoposto il suo ritorno, il gruppetto ha cercato di non fornire appigli a critici e delatori attraverso un lavoro il più compatto possibile, per dimostrare di meritarsi a pieno titolo il posto che occupa.
E come in tutti gli album precedenti espone al pubblico nient’altro che la sua vita e i suoi fantasmi. Per questo motivo Relapse (letteralmente ricaduta) a partire dal titolo ironico, dalla copertina (un ritratto di Shady composto da migliaia di pillole), ha come protagonisti assoluti i medicinali, nominati praticamente in tutte e quindici le canzoni del disco e il suo rapporto con loro, leit motiv preponderante di questi quattro lunghi anni di buio.
Sicuramente niente di nuovo o di cool – Eminem fa sfoggio del suo curriculum solo in Crack a Bottle, mentre negli altri pezzi c’è soltanto un essere umano, le sue paranoie, la sua debolezza, il tutto illustrato da una proprietà di linguaggio ineguagliabile, da una ricerca della metrica ossessiva (ascoltate My Mom per capire, anche se i pezzi sono praticamente tutti allo stesso livello) e dal tipico sparare a zero su tutto e tutti che tanto lo caratterizzza.
Eminem ha voluto rincarare la dose su argomenti spinosi, che a volte usa per difendersi, altre per portare alla luce i mostri che abitano la sua testa e la nostra società attraverso una cinica ironia.
Quindi cosa aspettarsi da questo ritorno? Gli stessi temi, lo stesso cattivo gusto vicino al grottesco delle storie che inventa o riporta (meno pesanti di un telegiornale) e un milione di rime nuove, eleganti e spietate. Non è cambiato poi molto, ma ho ancora molti modi strabilianti per raccontarvelo.
Ora "Rabbit" non ha più la testa ossigenata, appare più magro e senza la sua tipica luce negli occhi, quello sguardo di chi annuncia con sfida "continuate pure ad attaccarmi, avanti, ce ne vuole per abbattermi!". È provato, ma con i suoi numeri ha ancora molti e molti round da giocare.