Il discorso di Obama in Ghana è stato pieno d’ispirazione ma poco concreto

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Il discorso di Obama in Ghana è stato pieno d’ispirazione ma poco concreto

13 Luglio 2009

Nella sua visita di 24 ore in Ghana, sabato scorso, il Presidente Obama ha tenuto il suo primo e più importante discorso in Africa, durante il quale ha chiesto agli africani di essere i migliori custodi sui propri governi. “Lo sviluppo dipende dal buon governo – ha detto rivolgendosi al parlamento del Ghana – E’ questo il cambiamento che può sbloccare le potenzialità dell’Africa. Ed è questa una responsabilità che possono prendersi soltanto gli africani”.

Il viaggio inaugurale della presidenza Obama nel Sud del Sahara è stato seguito attentamente in tutta l’Africa, come il primo test di quale potere potrà esercitare il figlio di questa terra – diventato una “stella” nel firmamento internazionale – a favore dei luoghi da cui proviene. Con una sola domenica da utilizzare, Obama si è lanciato in un tour fra reparti di maternità, incontri bilaterali, una visita in una grotta dove centinaia di schiavi venivano imprigionati prima del viaggio finale, per mare, verso il Nuovo Mondo.  

Rivolgendosi al parlamento, il presidente ha sottolineato i quattro punti chiave della sua agenda politica per l’Africa – diffondere la democrazia, diversificare le economie monoproduttive, estendere la sanità pubblica e mediare i conflitti etnici.

Per alcuni analisti, tuttavia, il discorso è stato un po’ vuoto di dettagli politici concreti. “E’ stato un discorso importante ed è di gran lunga la dichiarazione più comprensiva che il presidente abbia fatto sull’Africa, ma nondimeno lascia ancora troppe porte aperte all’immaginazione – ha commentato David Shinn, ex ambasciatore americano in Etiopia – A dire il vero non è che Obama abbia dato una buona immagine di quello che andranno a fare gli Stati Uniti in Congo, in Somalia o nel Sudan”.

Il presidente ha rinnovato il suo impegno su “Africom”, il comando militare tra gli Usa e 53 Paesi africani, ma non ha detto granché su dove e perché la sua amministrazione dovrebbero costruirlo. Ha parlato di questioni relative al “management dei conflitti” ma non di quante truppe vuole effettivamente impegnare in Africa. Il suo unico commento sulle violenze in Darfur – “quando c’è un genocidio in Darfur questo non è semplicemente un problema americano” – elude la domanda clou, e cioè se attualmente lui ritiene che in Darfur stia avvenendo un genocidio oppure no.

Gli abitanti del Ghana, comunque, e molti altri africani, hanno accolto il discorso come un nuovo cambio nelle loro relazioni con gli Stati Uniti, verso una partnership molto più equa e meno “ancestrale”. Nella capitale del Ghana, Accra, gli spettatori parlavano del discorso come di un momento storico. “E’ stato un discorso di cui avevamo bisogno per i nostri tempi, come fu quello del Dottor Martin Luther King per i suoi”, dice Akordy Adingya, un uomo d’affari ghanense. Il Ghana, l’unica nazione che Obama ha scelto di vistare durante il suo viaggio in Africa, è stato uno dei primi Paesi a cavalcare l’onda che ha rotto con il colonialismo, e anche uno dei punti di passaggio storici nella “Tratta degli schiavi”.

Durante la visita, Obama e la sua famiglia hanno visitato una delle grotte in cui venivano reclusi gli schiavi, a Cape Coast Castle, un luogo che Obama ha paragonato al campo di concentramento di Buchenwald. Quel luogo gli ha ricordato che “va combattuta la lotta contro le forme del male che, sfortunatamente, esistono ancora nel nostro mondo, non solo in questo continente ma in ogni angolo del globo”. Per tutta la visita ha attinto a piene mani dalle storie di africani medi e da quella di suo padre che pascolava pecore, incoraggiando i comuni cittadini a organizzarsi, a cercare delle opportunità e a costruire dal basso delle democrazie.           

“L’Africa non ha bisogno di uomini forti ma di istituzioni forti”, ha detto – un punto che secondo gli analisti è stato rafforzato doppiamente dall’aver scelto il Ghana come luogo dove tenere il suo discorso. Quel Ghana che è uno dei bastioni democratici nella regione.   

Tratto da “The Christian Science Monitor”

Traduzione di Roberto Santoro