Iraq. Bombe contro chiese cristiane a Baghdad, 4 morti e 32 feriti
12 Luglio 2009
di redazione
È di almeno 4 morti, tutti fedeli, e 32 feriti il bilancio degli attentati condotti nelle ultime 24 ore contro cinque chiese cristiane a Baghdad, in Iraq. L’episodio più grave nei pressi della chiesa di Notre Dame in Palestine Street, a Baghdad est: l’esplosione di una autobomba ha causato 4 morti e 21 feriti, tra i quali 15 fedeli.
Poco prima, alcuni ordigni erano esplosi davanti ad altre tre chiese cristiane della capitale, due nel quartiere di al-Karrada, la terza in quello di al-Ghadeer: una delle bombe ha causato il ferimento di almeno 11 persone. Gli ordigni erano stati collocati in scatole di cartone, e lasciati davanti ai cancelli di ingresso delle chiese. La Cnn ha riferito di un altro attentato, ieri sera sempre a Baghdad, contro la chiesa di San Joseph, che non ha causato nessuna vittima.
Dalla caduta del regime di Saddam Hussein le comunità cristiane dell’Iraq sono state oggetto di una serie numerosa di attacchi. I più gravi hanno avuto luogo nell’agosto del 2004, con quattro attentati a Baghdad e due a Mosul (nel nord del paese) che causarono almeno almeno 10 morti e 50 feriti. Tra le chiese colpite, anche la San Joseph. Il 16 ottobre dello stesso anno cinque attacchi vennero messi a segno nell’arco di poco meno di due ore contro cinque chiese nell’area di Baghdad. Gli attentati non provocarono vittime, ma danneggiarono gravemente alcuni degli edifici.
Negli anni del regime di Saddam Hussein, i cristiani in Iraq godevano di una relativa libertà, tanto che alcuni di loro arrivarono anche ad avere incarichi importanti, come il vicepremier Tareq Aziz. Alla fine degli anni ’90 erano oltre un milione, sparsi in tutto il Paese e soprattutto al Nord. Ora, secondo varie stime, sono meno di 500 mila.
Dopo la guerra, sono iniziati gli attacchi indiscriminati, in particolare nella città settentrionale di Mossul, dove lo scorso anno molte migliaia di famiglie cristiane sono state costrette ad andarsene. Una fuga per la quale Benedetto XVI ha espresso "allarme e grande sofferenza".