Se vivessi a Siracusa col mio stipendio farei una vita da signore

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Se vivessi a Siracusa col mio stipendio farei una vita da signore

13 Agosto 2009

Dopo la terza colazione a razione doppia la signo’ (ormai la chiamiamo così) è completamente conquistata, quasi amica direi. E ora che stiamo per partire mi mancherà. Figuriamoci che ormai mi tratta come un figlio: mi dà da mangiare e mi chiama “Pitittu” sorridendo, tutte le mattine.

Sulla porta ci salutiamo calorosamente e ci dice qualcosa come: “Chiu riti u puttuni chi fa sciangazza”, che immagino voglia dire qualcosa come arrivederci ragazzi fate buon viaggio o tornate presto, qualcosa così.

“Arrivederci signora e grazie ancora di tutto!” la saluto definitivamente.

“Che carina la signo’, chissà che ci ha detto!”.

“Chiudete il portone che fa corrente” risponde lei fredda e distaccata.

Non capisco.

Poi capisco che forse si riferiva alla traduzione e le chiedo: “Ma? Come chiudete la porta? …E niente ciao ragazzi statemi bene a presto o cose così?”.

Alza le spalle come a dire: “No mi dispiace, sei un povero illuso”.

“Scusa ma te che ne sai?”.

“Reminescenze…”.

Ma quali reminescenze? Reminescenze di cosa? Le vorrei chiedere. Invece le chiedo: “E pitittu? Che vuol dire pitittu?”.

“Buon appetito” mi risponde secca mentre saliamo in macchina.

Devo rielaborare tutti i miei pensieri a proposito della signo’, ma forse no. Non importa quello che voleva intendere l’importante è come mi è arrivato, credo.

Dopo un po’ che guido Roberta mi chiede: “Lo sai perché sono due ore che canticchi I giardini di marzo?”.

“No! Perché tu lo sai? Forse perché ho già subconsciamente raggiunto quella fase della vacanza in cui non si sa più che giorno è che anno è!”.

“No scemo! Perché siamo passati cento volte in un paesino che si chiama Giardini di Naxos questi giorni!”.

Arriviamo a Siracusa.

Una barriera di industrie e palazzi moderni scoraggiante per fortuna non ci fa cambiare idea, e ci spingiamo fin dentro l’isola di Ortiga, centro storico della città.

Quando scendiamo dalla macchina lo scenario è a dir poco mozzafiato: viuzze strette e palazzi bassi antichissimi, altri dall’aria spagnoleggiante, o greca, gotica, barocca.

Camminiamo basiti senza comunicare, rapiti dalla magia del luogo, che tra l’altro è deserto perché a quest’ora e con questo caldo staranno tutti al mare.

Finché girato un angolo, un odore squisito di carne alla brace non annebbia ogni mio pensiero, oltre che tutta la via e buona parte delle traverse: c’è una specie di macellaio che sta grigliando la carne davanti alla propria macelleria, PER STRADA! E c’è anche un sacco di gente che quella carne se la sta mangiando! Sempre rigorosamente in the middle of the street!

Non ci posso credere.

Basta uno sguardo con Roberta. Lei sorride e mi asseconda.

Ci avviciniamo e il macellaio ci chiede: “Vulite manciari?”.

Mangiamo due bistecche di cavallo buonissime!

E la cosa assurda è che le mangiamo così, per strada, comprate e cotte dal macellaio. Il tutto per un prezzo minore di quello che costerebbe solo comprarle a Roma.

La qualità della vita fuori dalla capitale è incredibilmente migliore, ovunque vai. Non so se resterò a Roma per sempre, anche se ci sono legatissimo. Non è giusto che sia tutto così dannatamente caro e gli stipendi non si adeguino.

Mi viene la curiosità di sapere quanto costino qui gli affitti, mi avvicino ad un signore e glielo chiedo.

“Affittu? Cà tuttu noshru è”.

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