Stavolta Obama lo difendiamo noi (dai suoi)
05 Agosto 2009
di redazione
“Obama ci ha tradito. Diceva di chiudere Guantanamo e tornare alla legalità ma si sta comportando peggio di Bush”. Questo il succo di un editoriale apparso in prima pagina su La Stampa del 3 agosto scorso, a firma di tale Naomi Wolf. Ma perché il quotidiano torinese dà tutta questa importanza a una femminista radicale che getta fango sugli Usa e il loro presidente?
La Stampa è stato uno dei (tanti) quotidiani del nostro Paese che ha salutato la vittoria di Obama come una rivoluzione copernicana. Piaceva “il primo homo globalis” della storia degli Usa, un presidente né bianco né nero, il presidente di tutti noi. Usiamo il passato perché a leggere l’editoriale apparso in prima pagina un paio di giorni fa l’impressione è che la luna di miele sia già finita. Il pezzo s’intitola “In Obama c’è un po’ di Bush”, neanche fosse una malattia presidenzialmente trasmissibile, e parla di Guantanamo – il tema che sta più a cuore ai nuovi radicali americani.
L’autrice, Naomi Wolf (una femminista che ebbe a dire dell’aborto: “La madre deve essere capace di decidere che il feto, nella sua immensa umanità, deve morire”), ha scritto un paio di libri in cui dipinge gli Usa come una specie di riedizione del fascismo. Nell’articolo pubblicato sulla Stampa rincara la dose: “la detenzione preventiva” dei terroristi a Guantanamo “non è altro che la base di uno stato di polizia”. Le audizioni al Senato sull’argomento “stanno definendo una nuova realtà altrettanto brutta della vecchia, o addirittura per certi versi peggiore”. Riassumendo: Obama, infettato da Bush, è a capo di uno stato poliziesco che usa la tortura ma non lo dice.
Ora rispondiamo alla domanda iniziale. Perché la Stampa pubblica un delirio simile? Il legalismo strabico di gente come la Wolf, almeno in America, è minoritario. Invece così si lascia intendere che è maggioritario. Obama non è un radicale, non è stato eletto dai radicali, e quelli che lo hanno votato sperando in una palingenesi dall’abominio di Bush, in un momento catartico che avrebbe cambiato il mondo, attualmente rappresentano una delle spine più dolorose nel fianco del presidente. Quindi perché offrire alla Wolf una tribuna come quella del nostro quarto quotidiano nazionale? L’unica spiegazione è che anche La Stampa credesse in quella palingenesi e in quella catarsi, che non è avvenuta.
L’epilogo ci spiega il perché. La Wolf definisce il detenuto di Guantanamo Majid Khan “un classico prodotto del disprezzo per i principi fondamentali del diritto dell’amministrazione Bush”. Non aggiunge altro sulle accuse che hanno portato alla sua detenzione. Allora ci pensiamo noi a spiegare quelle ragioni che sono anche le ragioni di Obama (e di Bush). Il sito del Dipartimento della difesa americano informa che l’islamo-americano Majid Khan – durante una trasferta per indottrinarsi e addestrarsi avvenuta in Pakistan a ridosso dell’11 Settembre – conobbe KSM, lo stratega dell’attacco alle Torri Gemelle. Quest’ultimo, affascinato dal fatto che Majid parlasse americano, si comportasse come un americano e avesse la residenza negli Stati Uniti, pensò bene di istruirlo a come far esplodere stazioni di benzina o avvelenare acquedotti nel suo Paese. Ecco perché Majid fu catturato prima che si mettesse all’opera e spedito a Guantanamo.