Nella sentenza sul Lodo qualcosa non va ma il Cav. sbaglia ad attaccare Napolitano

Banner Occidentale
Banner Occidentale
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Nella sentenza sul Lodo qualcosa non va ma il Cav. sbaglia ad attaccare Napolitano

08 Ottobre 2009

Il primo comunicato del Quirinale, dopo la sentenza che ha azzerato il lodo, trasudava una certa freddezza. Rispetto per la sentenza e per la Corte, ma sottolineatura che nel precedente del 2004 i giudici costituzionali non avevano affatto chiarito che, per introdurre la sospensione dei processi per le alte cariche, fosse necessaria la legge costituzionale.

Forse, il primo ad essere spiacevolmente sorpreso della scelta della Consulta di far cadere il lodo con un richiamo esplicito alla violazione dell’art. 138 della Costituzione (quello che prevede la procedura aggravata per approvare le leggi costituzionali) era proprio il Presidente Napolitano. Perché è innegabile che quel secco dispositivo della sentenza – l’unica parte di sentenza che per ora conosciamo – apriva almeno un paio di delicate questioni istituzionali, che proprio sul terreno strettamente istituzionale avrebbero dovuto essere mantenute e giocate.

Primo, la sentenza di fatto sconfessava Napolitano, e i suoi espliciti e ripetuti comunicati sulla correttezza della scelta della maggioranza di procedere con legge ordinaria, alla luce del precedente del 2004. 

Secondo, l’attuale decisione della Consulta non appare in linea con il principio della “leale collaborazione” fra poteri, di cui la Corte stessa fa sovente menzione nelle sue pronunce: la maggioranza approva il lodo Schifani, la Corte lo dichiara incostituzionale per due o tre motivi specifici – senza dire nulla sulla necessità della norma costituzionale e dopo aver riempito pagine sul concetto di sospensione processuale -; il legislatore si adegua fiducioso (ingenuamente?), e ora la Corte alza l’asticella, spiegando che si doveva scegliere la procedura di revisione.

C’è qui realmente qualcosa che non va, e a buon titolo il legislatore (cioè il Parlamento della Repubblica italiana!) potrebbe oggi lamentarsi che o la Corte si atteneva oggi al proprio precedente o avrebbe dovuto essere più chiara fin da subito, evitando al Paese (e anche a sé stessa) questi mesi di tormento. Mi permetto di aggiungere che quello della leale collaborazione fra poteri era un buon argomento da spendere anche in udienza, da parte dei legali del Premier. Avrebbero così potuto evitare di ricorrere a certe banalità sociologiche sulla costituzione materiale che sarebbe cambiata insieme alla legge elettorale, o alle acrobazie pericolose della legge uguale per tutti ma diversa nella sua applicazione.

Insomma, pur all’interno del peggiore degli scenari immaginabili alla vigilia, si intravedevano spiragli per un gioco sottile di sponde tra Palazzo Chigi e Quirinale, foriero magari di nuove iniziative ben ponderate per uscire dall’angolo in cui la sentenza della Corte aveva di fatto messo entrambi (e sottolineo entrambi). Berlusconi ha scelto invece una strada molto diversa e ha indirizzato accuse piuttosto pesanti al Capo dello Stato, rivangandone l’appartenza e la storia, financo una mancata influenza su alcuni giudici. Io non voglio entrare nel merito di queste accuse; mi limito a rilevare che, per una volta, non concordo affatto con questo tipo di scelta. Pur comprendendo le ragioni anche psicologiche della persona nella situazione complessiva, pur conoscendo le modalità eterodosse con le quali egli interpreta la politica, credo si sia trattato davvero di una mossa istituzionalmente imprudente.

I nodi e le macerie che la sentenza lascia dietro di sé restano intanto lì, quanto e più di prima. Come si fa a non vedere che esiste una questione di ordine generale che riguarda i rapporti tra politica e giustizia? E che l’esigenza di assicurare a chi svolge funzioni politiche di poterle esercitare in piena legittimità morale e politica non ha oggi nessun riconoscimento, contro iniziative giudiziarie talvolta avventate o usate come arma politica? Non so che spazi ci siano oggi per affrontare questo tema, che poi è lo stesso del lodo Alfano. La legge costituzionale invocata dalla Consulta con chi la si potrebbe fare, visto che il partito democratico latita o corre dietro al diciannovismo dipietrista?

Insomma, gli spazi per riforme sensate erano certo esigui anche prima, ma la sorte del lodo poteva almeno essere sfruttata per far emergere ancor più l’urgenza di ragionare in generale del problema costituzionale dei rapporti politica e giustizia. Certo è invece che, se non si corre subito ai ripari, le reazioni inconsulte e le accuse al Capo dello Stato rischiano di essere la pietra tombale su ogni via d’uscita.