“Il riformismo di Craxi è la strada da seguire per modernizzare l’Italia”
13 Gennaio 2010
Non varrebbe la pena di fare un nuovo ricordo dell’opera di Bettino Craxi se il suo pensiero e la sua lezione non fossero di piena attualità. Noi viviamo ancora del pensiero di Craxi. Bettino ci ha lasciato in eredità un modo di governare, di guardare alla società che cambia e che cresce, di intendere lo sviluppo, la giustizia sociale, la libertà, la democrazia di cui tutti, partiti e governo, maggioranza e opposizione, potrebbero far tesoro. Basterebbe ricordare una sua frase: “La democrazia deve vivere e governare. La democrazia governante è un’idea di vitalità della democrazia, sottratta agli immobilismi, le lentocrazie, e le paralisi di vario tipo che la condannano alla sclerosi ed alla decadenza. Io coltivo la speranza di un rigoroso rinnovamento della democrazia italiana”.
Il riformismo di Bettino Craxi è nel solco della grande tradizione della corrente socialista inaugurata da Turati, da cui prende il grande amore per la libertà e la lotta dura contro l’estremismo, ma lo rinnova completamente nella sua base culturale e nella scelta del compagno di viaggio: il liberalismo. Non è stata un’impresa facile. Liberalismo e socialismo riformista erano state le bestie nere della sinistra italiana, cattolici compresi, fin dai tempi della Costituente, entrambi accusati di corresponsabilità nella nascita del fascismo e di fallimento storico. Craxi è invece convinto che le difficoltà italiane nascano da un deficit di liberalismo e di riformismo e la sua proposta di modernizzazione parte dal recupero di quelle forze neglette.
Che Craxi stia compiendo una grande operazione di rinnovamento i comunisti non lo riconosceranno mai: non lo hanno riconosciuto allora, non lo riconoscono nemmeno oggi. A dar ragione ai comunisti contro il leader socialista, una folla: una parte dei repubblicani, i democristiani con Granelli e Piccoli, i socialisti con Basso e De Martino, Achilli e Codignola, l’immancabile Scalfari con tutto il seguito della finanza azionista, la stessa che darà il via a Tangentopoli.
Ma Craxi non cede di un centimetro, e prendendo lo spunto da Berlinguer che mischia leninismo e democrazia, replica duramente: “Fra comunismo leninista e socialismo esiste una incompatibilità sostanziale che può essere sintetizzata nella contrapposizione tra collettivismo e pluralismo. Rispetto alla ortodossia comunista, il socialismo è democratico, laico e pluralista. Leninismo e pluralismo sono termini antitetici: se prevale il primo, muore il secondo”. Il capolavoro di Craxi è quello di riuscire a spezzare, con un partito ridotto al dieci per cento e dilaniato dalle correnti, il consociativismo Dc-Pci che domina la politica italiana fin dai tempi della Costituente. Craxi si è accorto che la società italiana sta cambiando in senso diametralmente opposto alla teoria comunista. Non è in atto la progressiva proletarizzazione dei ceti borghesi ma l’esatto contrario: la sproletarizzazione dei ceti popolari.
La grande industria licenzia e l’ex operaio prima si fa artigiano, poi piccolo imprenditore; lungo le strade statali e provinciali sorgono migliaia di capannoni che presto si riempiono delle attività più diverse; si moltiplicano le professioni, si espande il terziario, crescono le esportazioni. Craxi precisa ed elabora il suo pensiero: è l’individuo il soggetto principale dello sviluppo economico e civile; è la libertà il sale della democrazia. Modernizzare vuol dire ampliare la sfera della libertà individuale, diminuire i vincoli, gli automatismi, ritrarre lo Stato dal terreno non suo. Il risanamento economico, il prestigio del “made in Italy”, l’ingresso fra le grandi potenze industriali del mondo sono il risultato di quello che Craxi chiamava modestamente il “cambiamento” e che fu in realtà una vera rivoluzione culturale, politica ed economica.
Una rivoluzione che è ancora oggi la strada da seguire per una nuova modernizzazione dell’Italia. Bettino Craxi non è mai stato battuto politicamente. E’ stato distrutto da una congiura di poteri (sempre gli stessi, quelli che gli avevano votato contro persino sulla scala mobile, Romiti e De Benedetti in testa), che hanno avuto nella stampa, nel Partito comunista e nella magistratura il loro braccio armato. La grande opera di rinnovamento, l’atroce fine esiliato dalla Patria, sono gli estremi opposti della parabola di una stessa vita. A volte penso che la sua ingiusta fine fosse inevitabile. Troppo grande era il divario degli interessi, troppo grande il divario delle forze in campo.
Come intuì a suo tempo il filosofo comunista Biagio De Giovanni, Craxi ha totalmente rovesciato la cultura del suo tempo, sostituendo la tradizione liberal-democratica alla tradizione marxista e comunista. Una grande ventata di libertà, invisa ai potentati economici interessati ad immobilizzare all’opposizione, attraverso il Pci, il potere operaio. Ma le idee di Craxi erano quelle giuste e la storia gli ha dato ragione. La crisi del Partito Democratico e dell’opposizione tutta, sta nell’incapacità o impossibilità di proporre un programma alternativo a quello della maggioranza che oggi rende omaggio al pensiero e all’opera di Bettino Craxi. Non è la nemesi della storia, è semplicemente il trionfo della ragione.