Chávez mette il bavaglio a Radio Caracas
21 Maggio 2007
Hugo Chávez ha deciso che il 27 Maggio l’emittente venezuelana Radio Caracas TV (RCTV) chiuderà i battenti. Oppure, per dirla con il presidente sudamericano, il governo ha deciso di non rinnovare la concessione per l’utilizzo della frequenza su cui trasmette RCTV. Una decisione decisamente “autoritaria”. Soprattutto perché priva di un motivo apparentemente valido. Ufficialmente l’emittente chiuderà perché accusata di “fomentare la guerra psicologica nel popolo venezuelano”, in realtà però c’è un’altra accusa che risale al 2004: la RCTV faceva parte di coloro che sostennero il golpe anti-Chávez. Il tentativo golpista fu appoggiato da diversi media, alcuni decisero poi di smorzare i toni, sposando la politica di riconciliazione proposta dall’esecutivo venezuelano, altri invece non furono dello stesso avviso e decisero di mantenere posizioni apertamente antigovernative: RCTV e Globovisión.
Naturalmente questa decisione ha suscitato le ire del presidente di Radio Caracas, Marcel Granier, che si è rivolto all’Unione Europea e a Washington. Ai primi ha chiesto solidarietà per l’evidente violazione della libertà di espressione, ai secondi l’appoggio necessario per difendere la libertà di stampa dal governo vigente. In una conferenza stampa congiunta con il Partito Popolare Europeo, i Socialisti e i Verdi nel Parlamento Europeo, Granier ha dichiarato che “la minaccia di chiusura tramite la decisione del presidente Hugo Chávez viola in modo palese l’articolo 13 del Trattato Inter-Americano dei diritti dell’uomo, che proibisce la discriminazione, la gratificazione e la punizione nei confronti dei giornalisti e delle emittenti per la loro posizione” (politica). Mentre nella capitale statunitense si è rivolto al Governo, alla Commissione Intermamericana dei Diritti Umani e all’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) affinché “il mondo democratico dica basta alle minacce e alle pressioni di Chávez” che esercita un potere illegale, dal momento che la sua emittente può operare fino al 2022 in accordo con la legge venezuelana sulle Telecomunicazioni. Due fronti di protesta quindi, uno di carattere istituzionale legato alla libertà di espressione, e l’altro decisamente più personale che si rivolge direttamente al presidente e alla sua politica di governo.
La stessa politica di governo che è stata criticata anche da sei diversi direttivi di altrettante emittenti televisive, che hanno “rifiutato energicamente la decisione del governo venezuelano di revocare la licenza della Caracas Radio Television, una misura che costituisce uno sfortunato precedente dei principi democratici della regione. La proprietà statale delle frequenze radiotelevisive non può diventare uno strumento di restrizione della libertà di espressione e di informazione”.
Al coro di proteste si sono uniti anche migliaia di cittadini che, guidati dal leader dell’opposizione Manuel Rosales, sono scesi in piazza a Caracas per protestare contro il presidente Chávez. “La manifestazione – ha detto Rosales – darà inizio a una ribellione democratica che deve far capire al governo che il popolo sa che Chávez e la sua combriccola vogliono appropriarsi di tutti i mezzi di comunicazione per dirigere il paese”.
La decisione sulle sorti di Radio Caracas Television è attesa per il 26 maggio, ma per quanto intensa sia l’attività per salvare l’emittente di Marcel Granier, è assai probabile che non ci sia nessun cambio di rotta da parte di Chávez, sempre più intenzionato a far tacere la “tv fascista”. Chissà come legge tutta la vicenda la sinistra italiana, che conta soprattutto nell’ala radicale molti “ammiratori” di Chávez, sempre attenti a schierarsi contro le censure, e che invece questa volta non si sono ancora fatti sentire.