Perché il Rapporto Goldstone non è attendibile
23 Gennaio 2010
Il giudice sudafricano Richard Justine Goldstone ha presieduto la commissione d’inchiesta voluta dal Consiglio sui Diritti Umani dell’Onu per investigare “tutte le violazioni dei diritti umani e della legge umanitaria internazionale che potrebbero essere stati commessi nel contesto delle operazioni militari condotte all’interno dell Striscia di Gaza, nel periodo compreso tra il 27 dicembre 2008 e il 18 gennaio 2009”. La “fact finding mission” è stata originata dalla risoluzione dell’UNHRC (il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite – United Nations Human Rights Council) del 12 gennaio 2009. Gli altri membri della commissione erano Christine Chinkin del Regno Unito, Hina Jilani dal Pakistan e il Colonnello irlandese Desmond Travers.
Il giudice Goldstone si era detto “sopreso in quanto ebreo” per essere stato scelto come capo commissione ma aveva anche dichiarato di credere fermamente nei diritti umani e nella legge di guerra e nel fatto che i civili hanno diritto alla massima protezione possibile durante il corso di conflitti armati.
La Human Rights Watch con sede a New York (di cui Goldstone faceva parte), ha applaudito alla scelta dell’ ex-membro come capo commissione, sottolineando le sue doti di imparzialità universalmente riconosciute. Alcuni commentantori come il Professor Gerald Steinberg, o l’autrice Melanie Phillips hanno invece fatto notare che, nonostante avesse rassegnato le dimissioni da HRW, Goldstone non poteva dirsi al riparo da accuse di partigianeria, visto che l’organizzazione newyorkese aveva in precedenza piiù volte accusato Israele di violenze nei confronti della popolazione civile palestinese.
Nonostante la controversia riguardante la commissione, il rapporto finale (costituito da 575 pagine, successivamente un po’ sfoltite) è stato pubblicato il 15 settembre 2009. Secondo il documento, sia i gruppi armati palestinesi sia Israele si sono resi colpevoli di crimini di guerra ed entrambe le parti in causa sono state chiamate ad investigare sull’operato dei loro eserciti.
Il documento non ha ovviamente mancato di dividere l’opinione pubblica: personaggi come l’avvocato internazionalista canadese Irwin Cotler, o militari come Richard Kemp e Jim Molan, sostenuti nelle loro tesi da quotidiani come il Washington Post, L’Economist e il Wall Street Journal hanno criticato il rapporto e i loro autori mentre l’Organizzazione delle Conferenze Islamiche, la Lega Araba, il movimento dei Paesi non allineati (costituito da 118 nazioni), Amnesty International e il Financial Times hanno espresso un parere positivo sul rapporto.
Abbiamo chiesto a Dore Gold, ex ambasciatore israeliano all’Onu ora presidente del Jerusalem Center for Pubblic Affairs, di spiegarci perché il Goldstone Report è da considerarsi un documento non del tutto attendibile.
Il Rapporto Goldstone muove delle chiare e pesanti accuse contro Israele: prima fra tutte l’uccisione di civili innocenti.
La prima e più importante accusa nei confronti di Israele contenuta nel rapporto Goldstone riguarda appunto la presunta e deliberata uccisione di numerosi civili da parte dell’IDF durante le operazioni di guerriglia urbana. Sfortunatamente, però, in tutte le guerre i civili possono morire. Prenda per esempio le operazioni militari in Afghanistan e Iraq, conflitti dove molti cittadini hanno putroppo perso la vita. Quello che un esercito è obbligato a fare è minimizzare il numero di queste morti. Accusare Israele di aver ucciso civili deliberatamente è una cosa molto seria. Se vogliamo dirla tutta il nostro paese ha introdotto una serie di segnali d’avvertimento per i civili di Gaza che nessun altro esercito aveva messo in pratica prima. Non scordiamoci che, prima della guerra di Gaza, Hamas ha lanciato razzi verso il nostro paese per ben otto anni e durante il corso di questo bersagliamento ha utilizzato abitazioni e spazi comuni civili per nascondere le sue armi in aree densamente popolate. Ecco che Israele ha dovuto quindi utilizzare una contro strategia per separare i civili dal nemico e dalle armi che avrebbero dovuto essere distrutte. L’IDF ha distribuito volantini lungo tutta l’area di guerra che spiegavano come le abitazioni contenenti armamenti avrebbero potuto essere colpite. Non solo, l’esercito israeliano è anche riuscito a intrufolarsi elettronicamente nelle frequenze radio di Hamas, annunciando gli attacchi su specifiche aree e mettendo sul chi vive i cittadini. Un terzo tipo di avvertimento utilizzato era quello telefonico, prima di attaccare una certa struttura o un edificio l’IDF chiamava qualcuno all’interno per avvisare, l’intelligence si occupava di reperire i numeri telefonici. E poi c’è la tecnica che noi chiamiamo “knock on the roof” (bussare sul tetto), se dopo tutti questi avvertimenti gli schermi degli UAV (Unmanned Aerial Vehicles – Droni radiocontrollati) mostravano edifici ancora pieni di gente, si lanciavano piccole cariche esplosive più che altro rumorose che servivano a far evacuare in fretta l’edificio, perché gli occupanti alla vista dei missili se la davano giustamente a gambe. Ora, come può un esercito che utilizza tutti queste precauzioni essere accusato di uccidere deliberatamente i civili? C’è una chiara contraddizione in termini tra il comportamento militare israeliano e le accuse che gli vengono rivolte contro.
Israele, però, è stato anche accusato di aver utilizzato la forza militare in maniera sproporzionata alla minaccia, oltre che di aver messo a repetanglio il diritto alla vita del popolo palestinese.
Secondo me, chi veramente sta ostacolando il diritto alla vita dei palestinesi è proprio Hamas ma il report non muove nessuna accusa contro questa organizzazione para-militare. Sono stati i guerriglieri di Hamas ad aver messo a repentaglio la vita dei nostri civili con il continuo lancio di razzi su cittadine come Sderot, ad esempio. Nel rapporto, però, si parla di “gruppi armati palestinesi” come se questi fossero piccoli gruppi di guerriglieri privi di una guida centrale che esistono nella Striscia di Gaza controllata di Hamas e come se non esistesse una catena di comando da parte di Hamas. Ecco perché, quando questo report è stato pubblicato, alcuni leader del movimento palestinese, come Mousa Abu Marzouk (vice capo dell’ufficio burocratico di Hamas a Damasco), hanno ringraziato gli autori perché grazie a loro si sentivano esonerati dalle responsabilità. Ci troviamo di fronte ad un totale capovolgimento della realtà. Una nazione che durante gli utlimi anni si è dovuta difendere dai lanci di razzi è accusata mentre un organizzazione militare che ha conquistato la Striscia di Gaza militarmente, cacciando e uccideno membri del movimento Fatah, è innocente. L’unico risultato che il Goldstone Report potrà ottenere sarà un incoraggiamento delle organizzazioni terroristiche che utilizzano civili come scudi umani e gli farà anche capire che i civili del mondo occidentale possono essere tranquillamente attaccati perché si rimane impuniti. Per queste ragioni il report mette a repentaglio non solamente la sicurezza dei civili israeliani ma anche quella di tutta l’alleanza occidentale.
Ma sono le organizzazioni palestinesi ad accusare Israele di utilizzare i civili come scudi umani.
Su questo punto esiste un video (che ho mostato alla Brandeis University) in cui si vede un capo di Hamas che, essendo stato avvisato dell’imminente attacco aereo da parte dell’IDF chiama a raccolta i civili intorno a sè e li fa salire sul tetto di un edificio per utilizzarli come scudi umani. Quando Goldston ha visto questo video mi ha chiesto perché Israele non glielo aveva mostrato prima, ma da quello che so io tutto il materiale era gli già stato inviato.
Un’altra accusa che viene rivolta a Israele e all’IDF riguarda l’attacco a siti industriali e cisterne di acqua o comunque a strutture che servono alla popolazione civile come fattorie o campi coltivati.
Quello che il rapporto Goldstone tenta di dimostrare è alquanto improbabile: non si può indagare su un avvenimento mesi e mesi dopo la sua fine. Israele non attacca deliberatamente strutture civili come cisterne di acqua o fattorie ma lo fa esclusivamente se crede che tali strutture siano utilizzate come nascondigli per armi, munizioni o guerriglieri. Per supportare questa tesi il rapporto dovrebbe aver dimostrato che l’IDF non aveva subito attacchi da postazioni di questo tipo. Ma c’è un problema fondamentale di tipo metodologico. Goldstone è andato a intervistare i palestinesi all’interno della Striscia di Gaza proprio per capire che tipo di danni erano stati perpetrati alla popolazione civile e alle strutture civili. All’inizio del documento, però, è lo stesso Goldstone ad ammettere che i palestinesi che ha intervistato erano restii a parlare dei danni da loro arrecati da parte degli uomini di Hamas, perché temevano delle rappresaglie. Allora, sulla base di quesi fatti, come si può essere certi che nessuno stava sparando contro l’esercito israeliano dall’interno delle strutture civili che sono state distrutte?
Eppure il rapporto è stato sponsorizzato e ordinato dalle Nazioni Unite…
Dobbiamo tentare di capire un cosa fondamentale di questo rapporto: quando il Consiglio sui diritti umani dell’Onu ha chiesto di mettere in piedi una missione di ricerca che poi divenne il rapporto Goldstone, non ha ottenuto il supporto di nessuna nazione democratica occidentale. Quella risoluzione è stata invece votata dalla Cina, dalla Russia e dall’Arabia Saudita e queste non sono certo nazioni che si fanno problemi di diritti umani. Ora, curiosamente l’Arabia Saudita è stata di recente molto attiva nello Yemen del Nord dal punto di vista militare e infatti il comandante delle forze armate saudite, Principe Abdul Bin Sultan si è vantato molto del numero di yemeniti uccisi dall’esercito saudita. Quindi abbiamo una situazione in cui l’Arabia Saudita da una parte sta accusando Israele di aver ucciso civili nella Guerra di Gaza e dall’altra parte sta attivamente uccidendo cittadini che sono sospettati di essere coninvolti nell’insurrezione sciite dello Yemen settentrionale.
Ultimamente, durante una conferenza stampa congiunta alla quale era presente anche Nethanyahu, è stato chiesto ad Angela Merkel cosa ne pensasse del conflitto israelo-palestinese. Il Primo ministro tedesco si è rifiutato di rispondere. Invece gli Stati Uniti hanno appena inviato George Mitchell (legato Usa in Medio Oriente) per discutere la tregua con i palestinesi e con gli israeliani. L’America si è sempre interessata al problema molto da vicino ma che ruolo può assumere l’Europa?
L’Europa dovrebber essere un giudice imparziale in tutta questa situazione. Per anni gli Israeliani hanno pensato che le posizioni politiche degli Europei riflettevano i loro interessi commerciali visto che gli europei vendevano beni industriali al mondo Arabo. Ora però dobbiamo capire che queti interessi non sono più sostenibili perché esistono delle serie minacce all’ordine mondiale che provengono dal Medio Oriente. Sto parlando di Al Qaeda e dell’Iran. Quello dell’Iran è un problema che potrebbe portare a conseguenze ancora peggiori, se dovesse ottenere la bomba atomica, l’Iran potrebbe infatti utilizzare il suo potere come scudo per le organizzazioni terroristiche dell’area mediorientale. Quindi l’Europa dovrebbe essere in grado di capire che non si possono lasciare queste organizzazioni attive e in grado di scavalcare tutte le leggi internazionali per fare guerra a Israele o ad altri paesi democratici. Ad aprile quest’anno ci sarà una ricorrenza importante: i novant’anni dalla sconfitta dell’esercito Ottomano a San Remo. Dopo quella sconfitta, gli ottomani fecero una solenne promessa ai popoli che avevano assoggettato: avrebbero rinunciato alla sovranità su tutti i territori a sud dell’Anatolia, compresa la terra di Israele. Al popolo ebraico fu promessa la libertà di ricostituire un loro Stato, basato sul diritto storico degli ebrei sulla terra israeliana. Dovremmo ricordarci che L’Europa in passato ha avuto un ruolo strumentale nel liberare la terra mediorentale dall’assogettamento ottomano e nel riconoscere agli ebrei il diritto di ritornare al loro Stato.