In Iraq si avvicinano le elezioni e riesplode la guerra civile

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

In Iraq si avvicinano le elezioni e riesplode la guerra civile

Ieri è stata una giornata di sangue a Baghdad. L’esecuzione di “Ali il chimico” – il “Re di picche” sul mazzo di carte delle truppe Usa – uno dei boia del regime di Saddam Hussein (Halabjia, 3.000 curdi gasati), è stata giudicata una “giusta vendetta” dagli esponenti del governo iracheno. La reazione delle forze del terrore ancora presenti nel Paese è stata immediata: una nuova serie di attacchi-bomba contro gli alberghi della capitale, che hanno fatto 35 morti e oltre 70 feriti.

Dietro questi eventi c’è la complicata partita delle prossime elezioni, previste il 7 marzo, e la questione di quale posto riusciranno a trovare i nostalgici del Baath nel futuro assetto politico dell’Iraq. Nell’estate del 2009, il Primo ministro Maliki ha incolpato più volte i baathisti degli attentati che hanno preso di mira istituzioni del governo e altri siti nella capitale, uccidendo centinaia di persone innocenti.

La settimana scorsa la “Commissione per la giustizia e l’integrità” aveva annunciato di voler allargare la lista dei candidati a cui verrà impedito di partecipare alle elezioni perché accusati di avere dei legami, più o meno presunti, con il dittatore (ex baathisti, Fedayeen e agenti del Mukhabarat). Ieri però la commissione ha fatto marcia indietro, reinserendo circa una sessantina di nomi preventivamente eliminati nelle liste elettorali. 

Gli ufficiali statunitensi sono preoccupati e guardano con timore alla “lista nera” del governo iracheno: circolano 500 nomi, in prevalenza sunniti, anche se le autorità precisano che si tratta di candidati provenienti dalle diverse etnie del Paese, come pure di persone che hanno la fedina penale sporca, a cui verrà impedito di presentarsi alle elezioni. Se questa strategia dovesse estendersi, osservano gli ufficiali Usa, potrebbe minacciare la stabilità politica dell’Iraq e scatenare una nuova ondata di violenza in vista del voto.

Dopo aver speso tante forze per cercare di arrivare a una riconciliazione tra sunniti e sciiti, l’amministrazione Obama teme che il comportamento della commissione elettorale irachena possa destabilizzare il Paese, mettendo in discussione i miglioramenti che ci sono stati nel campo della sicurezza e compromettendo anche l’agenda del ritiro Usa previsto per la fine del 2011. Visto il complicarsi della situazione, il vicepresidente Biden volerà presto a Baghdad per esporre ufficialmente le preoccupazioni della amministrazione verso la crescita delle tensioni politiche nel Paese.   

In ogni caso, l’elezione del prossimo 7 marzo sarà cruciale per il futuro dell’Iraq. Baghdad dovrà decidere che tipo di relazioni stabilire con gli americani – se rafforzare o meno i suoi legami con l’Occidente oppure con Teheran. In America importanti giornali come il Washington Post e il New York Times hanno richiesto un intervento diretto degli Usa nella questione della “lista nera” ma è probabile che Obama scelga un profilo basso, cercando di aiutare il governo iracheno dietro le quinte, e lasciando agli iracheni di decidere da soli il proprio destino.

La lista nera però non viene direttamente da Baghdad, ma proprio da Teheran, come dimostrato ai tempi del Security Agreement. La commissione elettorale infatti è composta anche da politici sciiti che hanno dei collegamenti diretti con Teheran, compreso quell’Ahmed Chalabi che favorì il processo di de-baathifizazione dopo il 2003, generando l’insorgenza sunnita.