L’invasione di campo di Montezemolo
24 Maggio 2007
Non è una discesa in campo quella di Luca di Montezemolo nella sua ultima relazione da presidente della confindustria ma semmai un’invasione di campo. Di quelle che i tifosi fanno non per festeggiare una vittoria ma per segnalare alla squadra il loro disappunto, per mettere in mora i presidenti, per sfogare la rabbia contro questo o quel giocatore. E come invasione di campo è stata percepita dai politici presenti, soprattutto dai ben 14 ministri e ovviamente dal presidente del consiglio. Poi c’è chi ha saputo fare buon viso e all’invasore ha mostrato comprensione e interesse, e chi, invece, per primo Romano Prodi, si è rifugiato in no comment stizziti e in una espressione nervosa o distaccata che non dimenticheremo facilmente.
Non è una discesa in campo ma è un micidiale doppio colpo contro il potere politico. Prima messo in mora per la crescita spaventosa di costi e privilegi della politica (senza temere la demagogia e anzi cavalcandola, come quando Montezemolo chiede retoricamente a una platea di imprenditori: ma quanti asili nido potremmo aprire risparmiando sugli amministratori delle aziende lottizzate e degli enti zeppi di politici?) e poi attaccato anche perché non riesce più a decidere, a pensare nuove riforme e neppure a fare la manutenzione di quelle già approvate (come per le pensioni).
Subito Montezemolo si leva il pensiero che da un po’ ronzava nelle orecchie degli imprenditori: rispondere a quelle brutte parole del presidente della camera Fausto Bertinotti con cui si dava degli “impresentabili” ai capitalisti italiani. Gli risponde subito, guardandolo fisso, come uno sceriffo nei film western, che non intende accettare questo processo dalla classe politica. In realtà non riesce neanche a finire per bene la frase perché subito la platea si accende e lo trascina in un applauso rabbioso che, appunto, serve a completare il suo ragionamento. “Classe politica” è l’espressione chiave che sarà poi, con connotazioni sempre più negative, il filo di tutta la sua relazione/manifesto.
“Nei fatti – dirà poco dopo – nessuna forza politica di governo e di opposizione sembra voler davvero affrontare i nodi che bloccano la crescita economica e sociale del paese”. Lo aveva già detto altre volte, certo. Ma oggi era stato preceduto da un micidiale lavoro preparatorio anti-politica (con il dibattito seguito al libro “La casta” di Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, giornalisti del Corriere della Sera, già, ma sembrano proprio tempi lontani, giornale dell’endorsement prodiano). E poi oggi ha anche voluto provare a dettare l’agenda alla politica, come si farebbe con un potere non più dotato di una sfera autonoma, ma come un consiglio di amministrazione potrebbe dire ai manager dell’azienda. C’è chi ha contato dieci punti politici programmatici nel discorso: più poteri al premier, completamento del federalismo, riforma costituzionale, cambiamento della legge elettorale in senso competitivo, valutazione dell’immigrazione come risorsa imponendo il rispetto delle regole di convivenza civile, la lotta al sommerso e alle morti sul lavoro, il taglio dei costi della politica, l’applicazione delle leggi esistenti (scalone e riforma Dini) sulle pensioni, la separazione delle competenze tra camera e senato, le politiche in favore della famiglia.
Non è una discesa in campo ma c’è, come si è visto, la fornitura, chiavi in mano, di un programma politico per chi ne volesse far uso. Ci sono riformisti in entrambi gli schieramenti – ricorda Montezemolo – che potranno realizzare queste cose. Ma ci sono molti altri politici, sembra di capire dalle suo parole, che invece non riscuotono più alcuna stima nel mondo imprenditoriale.
Poi ci sono quelli ineffabili, surreali. Straordinario il ministro dell’economia Tommaso Padoa-Schioppa che, a richiesta di un commento, se la cava con “bella relazione”. Ma forse, nella sua interpretazione del finto ingenuo, la vittoria va al ministro del lavoro Cesare Damiano che risponde con un “Montezemolo criticava la politica, non il governo”.