Con una lettera a Schifani Di Girolamo rinuncia all’incarico da senatore

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Con una lettera a Schifani Di Girolamo rinuncia all’incarico da senatore

01 Marzo 2010

Quaranta righe di lettera. Così il senatore del Pdl, Nicola Di Girolamo, ha presentato nero su bianco, alla segreteria del presidente del Senato Renato Schifani le sue dimissioni consegnate. Travolto dallo scandalo, l’esponente del Pdl ha gettato la spugna. Toccherà ora all’Aula del Senato esprimersi sulle dimissioni del senatore accusato dalla procura di Roma di essere stato eletto nella circoscrizione Europa grazie ai voti della ‘ndrangheta.

Nella lettera di dimissioni Di Girolamo si scusa per aver procurato imbarazzo al presidente Schifani e scrive di essere giunto alle dimissioni "perché chi dovrà giudicarmi possa davvero conoscere i contorni di una vicenda che non è tutta ‘criminale’". Ricorda di essere stato eletto senatore "forte di una delega affidatami da 24.500 elettori… né mafiosi né delinquenti. Di una piccola parte di costoro avrebbe abusato un gruppo di individui probabilmente ‘inquinati’ da frequentazioni criminali". Chiarisce di non essersi "consegnato" anima e corpo a questi figuri. "La frenesia della campagna elettorale mi ha spinto a giudicare poco e male. E lei – scrive nella lettera di dimissioni a Schifani – mi auguro, immaginerà che non si diventi mafioso nello spazio di un mattino, colpevole come sono di uno o due incontri disattenti". Di Girolamo sottolinea di essere rimasto "una persona perbene, incapace tuttavia di difendersi innanzi alla protervia dei malevoli e dei menzogneri. In politica ne ho incontrati alcuni (…) capaci di fagocitarmi nella smania delle promesse". "Ho ceduto, signor Presidente – ammette – ma le mie colpe verranno circoscritte dalla verità che saprò esporre ai magistrati". Il senatore cita anche il Caritas in Veritate di Benedetto XVI: "Forse sarò l’unico ad essere ricordato per aver rassegnato le dimissioni. Ma non importa: mi affido alla Provvidenza (…) abbracciando il progetto di Dio, in Cristo, sperando nella vocazione posta ‘nel cuore e nella mente di ogni uomo".

Le dimissioni di Di Girolamo dovranno essere votate dall’aula di Palazzo Madama e il voto calendarizzato dalla conferenza dei capigruppo del Senato, che è convocata per domani alle 11. In base al regolamento del Senato, infatti, la richiesta di dimissioni di un senatore viene messa in discussione in aula e votata a scrutinio segreto.

Sia il Pd sia il Pdl avevano depositato in mattinata mozioni per la decadenza del senatore eletto all’estero dal suo seggio. Lo scopo di quella che il Pdl ha deciso di presentare in Senato è "riprendere in Aula la discussione sulla decadenza del senatore Di Girolamo". Nel testo predisposto dal Popolo della libertà si fa riferimento al tempo trascorso dalla deliberazione con la quale si era sospeso l’ esame della proposta di decadenza. "Oggi infatti si può inquadrare in una prospettiva diversa l’intera vicenda – si legge in un comunicato – senza attendere l’esito di un procedimento penale che nel frattempo è diventato più complesso. Il prestigio del Senato si difende meglio quando si ha un quadro completo dei fatti".

A firmare il documento, invece, in area Pd i senatori Sanna, Finocchiaro, Zanda, Latorre, Casson, Adamo, Leddi, Legnini, Lusi, Marinaro e Mercatali. Nel dispositivo finale, la mozione stabilisce che "al fine di ristabilire nei suoi atti il pieno rispetto dell’articolo 66 della Costituzione il Senato revoca con effetto immediato l’odg De Gregorio approvato il 29 gennaio 2009, ne rigetta le motivazioni in fatto e in diritto e stigmatizza il pregiudizio che esso ha indubbiamente prodotto al prestigio del Parlamento". E invita il presidente del Senato "a riaprire immediatamente la discussione in Assemblea sulla proposta della Giunta delle Elezioni e delle Immunità parlamentari affinché essa sia conclusa senza altri indugi".

Per domani alle 12 è prevista un’audizione dello stesso Di Girolamo davanti alla giunta per le Elezioni e le immunità del Senato. L’inchiesta intanto prosegue. Il procuratore antimafia Piero Grasso, durante la trasmissione In 1/2 ora, parlando delle inchieste che coinvolgono Fastweb e Telecom Italia, ha chiarito i due piani dell’inchiesta: la frode fiscale e la criminalità organizzata. "L’inchiesta nasce alcuni anni fa dalla procura distrettuale di Roma che inizia le indagini. Noi siamo intervenuti come ufficio quando è spuntata la criminalità organizzata. Intanto bisogna precisare che queste truffe non hanno nulla a che fare con la criminalità organizzata", spiega il procuratore. Grasso ha puntualizzato poi che le due indagini sono unite solo dalla presenza di un unico imprenditore in entrambe le vicende: "Il collegamento passa attraverso Mockbel uno degli organizzatori di questo sistema che poi aveva prospettato di entrare in politica attraverso il senatore Di Girolamo. Per fare questo si è servito della criminalità organizzata soprattutto per recuperare in Germania le schede elettorali".