Lega, Pdl e Pd. La differenza sta nelle classi dirigenti
19 Aprile 2010
Lo sfondamento della Lega nelle ultime elezioni amministrative è stato analizzato da più punti di vista e da parte di autorevoli commentatori che di volta in volta per spiegare il fenomeno hanno preso a riferimento diverse logiche causali sia dal punto di vista sociale ed economico sia da quello del sistema politico. Per cui si è enfatizzato il ruolo della Lega come collettore delle istanze della piccola e media impresa, ed ancora la sua capacità di penetrare il terreno del cattolicesimo tradizionale ovvero la sua crescente forza di insediamento nel blocco operaista e meno secolarizzato e non di meno la straordinaria attrattività dimostrata nelle realtà extra urbane di provincia a forte caratterizzazione agricola ("Lega contadina").
Dal punto di vista strategico poi è stato da tanti rimarcato l’abilità del Carroccio a posizionarsi, e quindi a promuoversi a livello comunicativo, nel sistema politico come "di lotta e di governo" in modo da riuscire a ottimizzare nella veste di "alleato competitor" la fisiologica cifra di elettorato in uscita che dopo due anni di governo è da attribuirsi al maggiore partito di maggioranza ed espressione della premiership. Queste componenti causali hanno in sé relativa validità in quanto spiegano in parte con diverse lenti di ingrandimento la crescente affermazione del fenomeno Lega ma a nostro avviso nessuna singolarmente, né tantomeno se combinata con le altre, è suscettibile di costituire il vero differenziale dell’avanzata leghista.
Tutte queste caratterizzazioni infatti che trovano riscontro dall’analisi dei flussi elettorali sono variabili che giocano un ruolo soprattutto dal lato della domanda del mercato politico, in sintesi esprimono il bisogno di rappresentanza politica ed istituzionali di settori e comparti che più di altri sono stati messi in difficoltà dalla crisi economica, ma che da sole non sarebbero in grado di assegnare un particolare vantaggio leghista rispetto alle altre forze politiche in gioco. In passato Forza Italia ad esempio era riuscita a rappresentare il fervido tessuto dell’imprenditoria diffusa e delle partite Iva del Nord in via principale scalzando da quel ruolo proprio l’arrembante Lega di inizio anni ’90, e allo stesso modo è vero che come radicamento territoriale e presenza sezionale ancora i partiti della sinistra (specialmente in prossimità della linea del Po’) risultano ancora maggiormente insediati, se non altro come residualità storica.
Si può osservare infine che l’attuale spettro politico presenta partiti e movimenti alternativi, in alcuni casi persino succedanei, alla Lega sia nel campo della rappresentanza cattolica, sia per quelle aree a forte caratterizzazione tradizionalista e meno secolarizzate. Quindi è l’offerta politica a fare realmente la differenza e non tanto la specificità della domanda. Si è già sostenuto in passato da questi spazi come subito dopo l’arroccamento del 2001 (arretramento elettorale soglia minima di consenso) il Partito di Bossi e lo stesso leader in primis abbia operato una silenziosa me robusta cura ricostituente nella sua struttura interna che è consistita nel consolidamento dell’organizzazione territoriale ma sopratutto nella formazione di una nuova giovane classe dirigente che fa della militanza permanente, da qui la quasi totale identità tra la figure dei responsabili con incarichi a vari livelli di partito e quella dell’attivista semplice, la sua caratteristica principale.
Questo tipo di struttura organizzativa radicata mobile e fluida, esclusiva leghista, ha fatto sì che la leadership carismatica di Bossi e di conseguenza la proposta del Carroccio venga percepita tra ampi strati "popolari" come presente, diffusa, e in definitiva "vicina alla gente". Leadership e classe dirigente in questo modo emanano il carisma del movimento e il mito fondativo in maniera capillare e orizzontale scendendo allo stesso livello, in maniera preponderante nei periodi di campagna elettorale, della base elettorale che si vuole conquistare ed allargare. A questo si aggiunge un’obiettiva ben riuscita selezione delle classi dirigenti a livello generazionale e territoriale per cui la Lega è l’unico partito in Italia a presentare ai suoi vertici, forgiandoli sin dall’inizio nell’agone della competizione elettorale, amministratori, quadri e di risulta poi rappresentanti nazionali, nuove leve di trentenni e quarantenni.
Il cursus honorum per ottenere responsabilità e guida dentro il movimento, siano queste amministrative o istituzionali, è infatti abbastanza fluido e veloce in salita ma allo stesso tempo rigido e selettivo nei criteri in quanto ha per fondamento primo quello della militanza e dell’appartenenza idealisticamente intesa. L’unicità di questo fattore e la sua importanza nel fungere da differenziale del successo leghista è particolarmente rilevabile se si analizzano gli scostamenti da questo modello delle altre forze politiche.
Il Pdl sotto questo aspetto ha continuato a privilegiare la forza del carisma democratico del suo leader e fondatore Silvio Berlusconi, indiscutibilmente l’unico vero collettore di consenso diretto al cospetto di importanti consultazioni elettorali. Tuttavia il carisma del premier, che promana dall’alto e ancora oggi soprattutto in via mediatica, non è stato ancora accompagnato da adeguati raggi di trasmissione in seno al partito, ovvero non sono state sviluppate né strutture territoriali diffuse e competitive come quelle leghiste né investite nuove generazioni di classi dirigenti (basti pensare alla assenza in linea di massima della generazione dei quarantenni) capaci di incarnare il messaggio e la proposta del partito in via permanente ed ideale a prescindere dalla pur legittima rappresentanza degli interessi.
A testimonianza di tale deficit organizzativo e di classe dirigente si noti il caso del Sud in cui malgrado la storica e robusta disponibilità di voto fatta registrare anche recentemente, è però da considerare la mancanza del competitore leghista e il totale default del Pd, il partito di maggioranza assoluta di quella macro area non riesca a produrre adeguate leadership locali e sia per giunta troppo segmentato al suo interno tanto da perdere il controllo in 2 regioni chiave quali Puglia e Sicilia. E proprio da questi due casi in maniera speculare si può partire per spiegare d’altra parte l’acuta crisi che già da tempo fa registrare il centro sinistra ed il Partito democratico non in grado di supplire e beneficiare degli spazi ivi descritti.
Il caso Vendola dove l’affermazione di un carisma personale soverchia un intero apparato partitico, ma anche il comportamento ondivago e spiazzante tenuto nei confronti del governo Lombardo, dimostrano infatti in tutta evidenza come prima ancora che le politiche e le linee guida tra gli eredi del Pci sia venuta meno da ormai più di dieci anni la capacità di esprimere adeguata leadership e classe dirigente. La nomenclatura nazionale tra ghirigori, maquillage, e giri di valzer è sostanzialmente la stessa di metà anni novanta e questo viene avvertito tra l’elettorato di riferimento come un’insopportabile deriva oligarchica di un residuo apparato centrale che ha per unico obiettivo quello di perpetuare il suo potere.
Non a caso la tenuta avviene negli unici territori dove autonomamente si sono sviluppate all’interno del partito nuove figure carismatiche ovvero classi dirigenti e amministratori di adeguata caratura come in generale in Toscana e specificatamente in realtà quali Firenze e Torino e per contro il progressivo sfaldamento in zone di radicamento storico si registra allorché si punta su guide locali già erose e dallo scarso "appeal popolare" (caso Errani-Del Bono, Bresso) . L’empasse elettorale, seppure potendo beneficiare della usuale rendita che ha il maggior partito d’opposizione in un bipolarismo come il nostro, ed ancor di più il lasciare il fianco a movimento qualunquistici e senza alcuna reale rotta politica programmatica quali quello di Di Pietro e ultimamente di Grillo è quindi fervida testimonianza di quanto sostenuto. Un’analisi delle ultime elezioni pertanto non può non tenere in giusta considerazione fattori quali radicamento, organizzazione e struttura territoriale. Più che su una visione politica o su spiegazioni sociologiche, del resto da sempre nelle consultazioni amministrative le politiche strategiche nazionali si annacquano lasciando spazio alle motivazioni di voto locali, è in questo terreno che adesso il Carroccio corre più di tutti.
*è autore del volume "Il fenomeno leghista perché nasce perché si afferma". Rubbettino 2009.