Netanyahu entra alla Casa Bianca. Nuove costruzioni a Gerusalemme Est

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Netanyahu entra alla Casa Bianca. Nuove costruzioni a Gerusalemme Est

23 Marzo 2010

Questo incontro fra Obama e Netanyahu sembrava non arrivare mai, e adesso che i due si sono finalmente parlati, per due ore, a porte chiuse, e senza rilasciare dichiarazioni, le divisioni tra Israele e Stati Uniti restano quelle di prima, perché al di là dei “dissensi fra amici”, gli ebrei hanno iniziato a costruire le loro case a Gerusalemme Est e gli americani non vogliono permetterlo. Da qui le divergenze, con Netanyahu che incontra la Clinton in un albergo di Washington – non al Dipartimento di Stato – e discute con Obama a porte chiuse.

In questa fase, “l’interesse nazionale dei due Paesi è di massimizzare la rispettiva libertà di manovra”, dice con la solita freddezza la rivista d’intelligence Stratfor. Niente foto-opportunity, neanche a cena da Biden, perché l’interesse strategico degli Usa è di preservare l’equilibrio del “fronte occidentale” in Medio Oriente – mediante i negoziati fra israeliani e palestinesi, e attraverso il “congelamento” degli insediamenti –, in un momento in cui gli equilibri con il resto del mondo arabo e musulmano sono conflittuali o rischiano di spezzarsi, tra Iraq e Iran, Afghanistan, Pakistan e India.

Haaretz fa sapere che il parlamento israeliano ha approvato in via definitiva la costruzione di 20 alloggi a Gerusalemme Est, dove attualmente sorge lo Shepherd Hotel, nel quartiere di Sheikh Jarrah, un terreno acquistato venticinque anni fa da un miliardario ebreo-americano legato ai gruppi religiosi ebraici. Ma descrivere gli ebrei come dei colonialisti in casa propria, nella città di Davide e Salomone, è la più grande menzogna dei tempi moderni, ha spiegato Bibi all’AIPAC. “I legami fra il popolo ebraico e la Terra di Israele non possono essere negati. Il popolo ebraico ha costruito Gerusalemme tremila anni fa, quello stesso popolo ebraico che la sta costruendo anche oggi. Gerusalemme non è una colonia. E’ la nostra capitale”. Per cui la vera questione è il significato che s’intende dare alla disputa diplomatica sulla città cara a tre religioni.

Una disputa che ha certamente un carattere e delle ragioni storiche e geopolitice: Israele sta diventando uno stato destabilizzante, più potente e avanzato del previsto, e l’America potrebbe rivolgersi a nuovi alleati pur di preservare gli equilibri della sua strategia di grande respiro in medio oriente, ad esempio stringendo un’alleanza più stretta con la Turchia per bilanciare l’espansione dello stato ebraico… scenari solo abbozzati e che almeno per il momento paiono inverosimili.

Oppure si può ricorrere al diritto internazionale: la Risoluzione 242 delle Nazioni Unite non ha invitato Israele a ritirarsi sulle linee di confine del 1967, prima della Guerra dei Sei Giorni. Israele ha occupato le zone di Gerusalemme Est rispondendo a una aggressione, a un attacco degli altri stati arabi; non è esatto dire che le ha occupate “illegalmente”. Gli estensori della risoluzione dell’Onu non le hanno precluso di stabilire “frontiere sicure e riconosciute”, diverse da quelle dei confini precedenti alla Guerra dei Sei Giorni. Adesso Obama, l’Onu, Blair e il Quartetto, vogliono farlo.

C’è infine una terza ragione destinata a prolungare ancora per lungo tempo questa disputa. La rivendicazione ebraica su Gerusalemme come “città celeste” è qualcosa che appartiene a un piano trascendente, irrinunciabile – la propria identità, "l’anima" di un popolo. Spezzata, divisa, ancora irredenta, come la capitale dello stato ebraico.