In Iran oramai il regime mette i padri contro i figli
09 Marzo 2010
Ormai non passa più giorno che agenzie di stampa, giornali, media in rete e televisioni non diano notizie di scellerate violazioni dei più elementari diritti umani, perpetrate in Iran a scapito di individui di ogni ceto, età, censo ed appartenenza sociale.
Il che può rammaricare ma non ci sorprende, perché sappiamo bene che da sempre purtroppo i regimi totalitari utilizzano qualsiasi metodo per difendere il sistema di potere e il governo da critici e oppositori. Anche quando questi dissentano solo in privato a tra le pareti di casa propria. Nessun limite viene posto ad operazioni di polizia o di corpi speciali se l’obiettivo è quello di individuare e reprimere chi protesta con voce fuori dal coro. Non ci si ferma neppure davanti alla dimensione privatissima della famiglia, che da sempre rappresenta un microcosmo sociale di relazioni tra persone, su cui si modellano i rapporti più complessi tra cittadini, stato e istituzioni.
Nazisti e stalinisti erano soliti ricattare madri e padri per ottenerne delazioni a scapito di un cognato, di un nipote o di altro parente stretto. Magari in cambio di sicurezza (comunque relativa e condizionata) per un figlio. Simili metodi raggiunsero forme di ributtante degeneratezza con la Gestapo hitleriana, quando la repressione si spostò dagli oppositori politici e dai diversi, alle minroranze etnico-razziali e religiose, ed agli Ebrei in particolare. In alcuni Paesi dell’ex blocco sovietico, si è saputo anche di mogli affettuose e in apparenza devote che, per anni, hanno spiato per i servizi segreti anche il marito, riferendo discorsi fatti in casa tra loro due o con amici ed ospiti.
Qualcosa di simile accade oggi in Iran. Il regime di Khamanei ed Ahmadinejad usa i figli per spiare e fare pressioni sui genitori (o viceversa), affidando a seconda dei casi il lavoro sporco ai coetanei della gioventù miliziana dei Basij, alle Guardie della Rivoluzione o direttamente ad agenti dell’Intelligence. Come quando di recente nella città di Qom, dopo averlo arrestato, hanno sequestrate passaporto, agende, lettere personali, libri, compresi il computer ed il ricevitore televisivo satellitare a Mohammed Taqui Khalaji: una rispettata guida spirituale islamica poco tenera nei suoi discorsi contro il regime attuale. E per di più, reo di avere un figlio, Mehdi , che lavora come analista e commentatore politico per un istituto di studi sul Medio Oriente di Washington.
Due piccioni con una fava, in questo caso: con chissà quali pressioni subite dal padre per indurre il figlio a smettere di criticare la leadership iraniana con i suoi articoli sui media occidentali; e con quali altre censure indirettamente così imposte al figlio, nel tentativo di difendere il padre dalle accuse mossegli in base alle speciali leggi islamiche imposte da Khamanei e Ahmadinejad. Che potrebbero costare al genitore persino la sentenza capitale per impiccagione, una volta dinanzi alla Corte speciale per il Clero: un terrificane tribunale speciale che non ammette avvocati.
A tal punto è oggi arrivata in Iran la deviazione mentale del clan di governo, che non esita ad eccitare perversamente i giovani ed a strumentalizzare il loro vulnerabile entusiasmo generazionale per bassi fini politico-religiosi. E’ questo uno dei crimini di cui il regime degli Ayatollah dovrà rispondere alla Storia e alle libere coscienze democratiche di ogni Paese. Insieme all’altro capo d’accusa epocale di incitamento al genocidio degli Ebrei ed alla distruzione di Israele.
Corrompere, comprare o istigare i giovani contro gli adulti, come si fa a Teheran, è un modo abietto di snaturare le normali dinamiche del conflitto generazionale: perché in questo caso il giovane-figlio invasato del Partito di Dio non contesta più l’adulto-padre in quanto tale, ma solo e miratamente quei padri e quegli adulti che vengono loro selezionati ed additati tra quanti nella lista nera del regime. Piaccia o no, è di questo che si tratta quando si mandano in piazza giovani indottrinati a colpire i dimostranti dell’Onda verde. O a minacciare le guide religiose che osano criticare il regime nelle riunioni per la preghiera del venerdi. E persino a spiare nelle aule universitarie quei professori anche solo poco entusiasti delle recente scelte politiche del governo.
Se però è vero, come ci hanno insegnato a scuola quando si studiava Educazione Civica, che i rapporti tra cittadini e stato nel corpo sociale sono in qualche misura simili ed omologhi ai legami che intercorrono tra genitori e figli in seno al nucleo familiare, l’attuale aberrazione iraniana non potrà durare in eterno. Perché crescendo e maturando, anche i figli più riottosi giungono a riconoscere la giusta saggezza dei padri. Così come i cittadini in crescita di consapevolezza prima o poi capiranno quello che oggi accomuna l’intolleranza di uno stato padre-padrone alla sanguinaria capacità aggregatrice ed al familismo amorale e mafioso di una cricca di potere.