Tutti gli italiani devono capire quant’è pericoloso l’Iran nucleare
12 Maggio 2010
Ahmadinejad è stato molto chiaro dopo la conferenza di revisione del trattato di non proliferazione nucleare svoltasi di recente a New York: se il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite varerà le sanzioni contro l’Iran, a farne le spese saranno per primi gli Stati Uniti di Barack Obama, che perderebbero così l’ultima buona occasione di ‘emendarsi’ dagli eccessi di aggressività dell’era Bush. Di conseguenza, le relazioni con l’America peggioreranno irreversibilmente. Come pure quelle con l’Italia, prevedibilmente, dal momento che il Presidente iraniano anche noi siamo nella lista nera di quanti starebbero incentivando la corsa al nucleare.
Le implicazioni che contiene questa ennesima minaccia — perché di questo si tratta e non di un semplice monito, come a tutti appare evidente — inducono ad alcune riflessioni chiarificatrici anche da parte italiana. Sollecitando, magari, la stessa pubblica opinione ad occuparsi del tema, se non proprio immediatamente magari non appena riusciremo a liberarci del tormentone mediatico sulle pigioni ad equo canone pagate o meno a suo tempo dal Presidente D’Alema. Ci sembra comunque legittimo dare priorità alla questione iraniana, specie dopo che il nostro Ministro degli Esteri si è detto scettico sia sulla proposta del Brasile di farsi mediatore tra l’Iran e l’Occidente sul delicato tema nucleare, che sulle reali intenzioni di Teheran a rispettare gli obblighi internazionali.
In sintesi, ragiona il titolare della Farnesina, se anche in passato l’Iran aveva detto di voler accettare un’analoga proposta di mediazione turca e poi non l’ha accettata, come pure in un nulla di fatto si è conclusa la proposta di trasferire in Russia l’uranio da arricchire, è evidente che nei rapporti con il regime post-khomeinista ormai più che le parole contano solo i fatti. Senza neppure scordarci che già altre volte l’Italia aveva generosamente presentato all’Iran una sincera offerta di collaborazione (a margine del G-8 ministeriale di Trieste del giugno scorso), ben spiegata anche dall’Ambasciatore Giampiero Massolo — Segretario Generale del MAE e all’epoca rappresentante personale del Presidente del Consiglio Berlusconi nell’Ufficio Sherpa G8 a presidenza italiana — con la speranza di vedere se l’annunciata positività delle posizioni iraniane fosse reale mentre erano ancora in molti a cercare una soluzione diplomatica alla questione del dossier nucleare.
Ed è proprio alla luce dei fatti che, sulla scorta di quanto è poi accaduto, sarà francamente difficile non essere pienamente d’accordo con il nostro Ministro degli Esteri, quando alle Nazioni Unite i Paesi aventi diritto al voto dovranno (a breve) esprimersi sull’implementazione di un quarto round di scelte sanzionatorie, per contenere i progetti nucleari dell’Iran. Semplicemente perché, nonostante la propaganda di Teheran continui a negare di volersi dotare della bomba atomica, sbandierando ai quattro venti i propri propositi di usare l’uranio esclusivamente per motivi civili e pacifici, in realtà non è la prima volta che le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU abbiano dato semaforo rosso ai programmi iraniani di arricchimento dell’uranio. Come pure non è la prima volta che nei rapporti dell’AIEA (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica) si sia già già scritto a chiare lettere che ci sono forti dubbi sul fatto che l’Iran non intenda invece utilizzare l’uranio per fini diversi da quelli civili e pacifici che pure a parole dichiara.
Per cui, se questo è il momento che attualmente tutti viviamo con comprensibile apprensione, un eventuale voto a favore delle sanzioni dato questa volta da Paesi come Brasile, Bosnia, Gabon, Libano, Nigeria, Uganda, Giappone, Messico, Austria e Turchia sancirebbe agli occhi del mondo libero la loro rispettabilissima posizione nella comunità internazionale a favore dei più sani principi della diplomazia della pace: quella cioé che difende i Diritti Umani e che si oppone strenuamente e con ogni mezzo sia al terrorismo che alla proliferazione delle armi di distruzioni di massa. Il che, ove ciò auspicabilmente accadesse, andrebbe anche a corroborare, rinsaldandole, le posizioni osservate sul tema da gli altri cinque Paesi membri permanenti del Consiglio di Sicurezza (Russia, Cina, Francia, Inghilterra e Stati Uniti) ai quali — nei primi del 2010 e per un periodo di due anni, per effetto del principio di rotazione — sono venuti ad aggiungersi Brasile, Bosnia, Gabon, Libano e Nigeria. Laddove invece Uganda, Giappone, Messico, Turchia e Austria il loro primo anno come membri del Consiglio lo hanno già svolto e dunque gliene resta ancora un secondo.
Oltre tutto, a parte il tema specifico del nucleare, un simile messaggio di fermezza dato dai Paesi che voteranno le sanzioni servirebbe anche a sottolineare che la maniera di procedere dell’attuale leadership iraniana sta seriamente rischiando l’isolamento globale della nazione. Vieppiu’ significativemente, dunque, in un momento come l’attuale in cui anche all’interno del Paese degli Ayatollah la situazione dei Diritti Umani appare pericolosamente insidiata dal controllo pervasivo di un’anacronistica ideologia teocratico-assolutista. Con il sequestro dei beni e l’intimazione del silenzio alla premio Nobel (2003) Shirin Ebadi, ex magistrato e coraggiosa paladina in esilio dei diritti civili, ad esempio. Ovvero con l’ultima delle aberrazioni di cui si è avuta notizia: la richiesta da parte delle Autorità in carica di una sorta di certificato di idoneità al matrimonio, che ogni coppia in attesa di sposarsi dovrebbe ricevere. Non prima — si badi bene — di aver positivamente superato una serie di esami alla fine di un corso obbligatorio trimestrale di preparazione alle nozze che, con la dovuta documentazione preliminarmente prodotta dai fidanzati, garantirebbe (al Governo!) di porre freno al numero crescente di divorzi e di rafforzare le unioni durature.