La Serbia si scusa per Srebrenica. Ma per Belgrado non fu “genocidio”

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La Serbia si scusa per Srebrenica. Ma per Belgrado non fu “genocidio”

02 Aprile 2010

Srebrenica. Luglio 1995. In quei giorni di guerra morirono circa 8 mila persone. Trascorsi 15 anni dal massacro compiuto dalle truppe della Republika Srpska, il parlamento serbo ha adottato 2 giorni fa una risoluzione di condanna di uno degli episodi più sanguinosi della guerra in Bosnia, rendendo così omaggio ai caduti e scusandosi – nel contempo – per non avere fatto abbastanza per impedirlo. “Oggi è un grande giorno per la Serbia che ha dimostrato di avere la forza per qualificare quello che successo come crimine di guerra”, ha commentato il presidente serbo Boris Tadic.

La risoluzione è stata approvata dopo un dibattito trasmesso in diretta Tv e protrattosi per 13 ore. Nel testo non appare la parola “genocidio” e, analizzandone i contenuti, si evince come sia frutto di un compromesso espresso dalle diverse anime della politica serba. A tal proposito Tadic ha detto che “il parlamento non si occupa di definizioni giuridiche, ma ha approvato un documento politico”. Il presidente ha inoltre riaffermato che “la Serbia vuole trovare ed arrestare i responsabili del crimine, soprattutto il generale Ratko Mladic”, accusato dal Tribunale Penale Internazionale per l’ex-Jugoslavia di essere l’imputato numero uno del massacro di Srebrenica e latitante dal 1995.

Ripercorriamo quella vicenda per chi era troppo giovane o chi è poco attento. Nel 1994, in piena guerra Jugoslava, l’Onu istituì come zone protette le città di Sarajevo, Tuzla, Zepa, Goražde, Bihać e Srebrenica; dichiarò inoltre che gli aiuti umanitari e la difesa delle zone protette dovevano essere garantiti anche con l’uso della forza da parte dei Caschi Blu. Le delimitazioni furono stabilite a tutela della popolazione bosniaca, quasi completamente musulmana, costretta a fuggire dall’occupazione dell’esercito serbo-bosniaco. Il 9 luglio 1995, Srebrenica e il territorio circostante furono attaccati dall’armata serbo-bosniaca guidata da Mladic che due giorni dopo entrò nella città.

I 600 caschi blu dell’ONU e le 3 compagnie olandesi Dutchbat I, II e III (di stanza a Srebrenica) non intervennero: motivi e circostanze non sono ancora stati del tutto chiariti. La posizione ufficiale è che le truppe ONU fossero scarsamente armate e non potessero far fronte da sole alle forze di Mladić. Nel 1996 il governo olandese ordinò un’inchiesta per stabilire le responsabilità delle truppe di Dutchbat. Il 16 aprile 2002, in seguito alla presentazione dei risultati, l’esecutivo di Wim Kok presentò collettivamente le dimissioni assumendosi la responsabilità, ma non la colpa, del massacro. Il 4 dicembre 2006 il ministro della difesa olandese, con l’appoggio della Commissione Europea, ha consegnato la medaglia d’onore al battaglione olandese per il coraggio mostrato a Srebrenica. Il 2 marzo 2007 il Tribunale Penale Internazionale dell’Aja pur definendo il massacro un genocidio, assolse la Serbia dalle responsabilità e dispose l’arresto dell’ex leader politico serbo bosniaco Radovan Karadzic e del suo capo militare Ratko Mladic.

Tornando a oggi, va sottolineato come la Dichiarazione su Srebrenica sia stata votata solamente da democratici e socialisti, ovvero dai partiti "europeisti" intenzionati a fare il possibile per portare la Serbia nell’Unione. Da notare come, per ottenere il massimo dei consensi e porre fine a un estenuante dibattito, la maggioranza governativa abbia proposto di ricorrere al termine ‘crimine’, invece che a ‘genocidio’ e l’opposizione abbia insistito affinché nella stessa Dichiarazione fosse inserita anche la condanna dei crimini commessi contro il popolo serbo. Nel documento si legge che il Parlamento serbo “condanna nel modo più severo” l’eccidio ed esprime “profonde condoglianze e scuse per le famiglie delle vittime in quanto non è stato abbastanza per prevenire la tragedia”. Nella risoluzione, il parlamento ribadisce la sua disponibilità a una piena collaborazione con il Tribunale penale del’Aja, che chiede da tempo a Belgrado cooperazione per l’arresto e l’estradizione di Mladic.

Da parte loro, l’Alto rappresentante Ue Catherine Ashton e il commissario europeo all’Allargamento Stefan Fuele, in un comunicato congiunto diffuso a Bruxelles, hanno definito la dichiarazione sul massacro un “passo importante per il paese” ma anche “la chiave per la riconciliazione dell’intera regione” balcanica. L’Ue inoltre “prende nota della riaffermazione della volontà di cooperare con il Tribunale internazionale dell’Aja per i crimini nell’ex Jugoslavia, in particolare per l’arresto e la consegna dei restanti latitanti, e di continuare il trattamento a livello nazionale dei crimini di guerra”. Questi, infatti, sono “elementi cruciali per la stabilità e la riconciliazione nella regione per la prospettiva di ingresso nell’Ue della Serbia”. Dello stesso avviso gli olandesi.

L’Olanda, fino ad oggi contraria alla concessione dello status di candidato a membro Ue della Serbia, ha definito “un passo in avanti” la delibera, ma stima che la cooperazione serba con il tribunale penale internazionale dell’Aja non sia ancora “totalmente piena”, legando di conseguenza l’integrazione della Serbia all’arresto di Mladic.

Secondo la Farnesina la condanna da parte del parlamento serbo è “un atto che l’Italia accoglie con grande favore” e “un passo estremamente importante per il prosieguo dell’evoluzione europea della Serbia e della sua piena riconciliazione nella regione”. È quanto ha affermato il portavoce della Farnesina, Maurizio Massari. “Accolgo con favore la condanna ufficiale del massacro di Srebrenica fatta dal parlamento serbo”, ha aggiunto Pietro Marcenaro, membro della delegazione italiana presso l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. “Questo voto è un segnale dell’attuale desiderio che la Serbia ha di lasciarsi il passato alle spalle e rinforzare il suo ruolo in Europa”, ha concluso Marcenaro.

Delineato il quadro, occorre riflettere sull’effettivo valore che questa svolta rappresenta. Ad una prima lettura si potrebbe presumere che finalmente qualcosa si stia muovendo nell’establishment serbo, qualcosa che spinga verso un desiderio di giustizia e di "fare i conti" con il passato. Più verosimilmente questo chiudere i conti con il passato, ma soprattutto l’impulso verso un futuro all’interno dell’Ue, hanno favorito e accelerato un processo che altrimenti avrebbe richiesto un numero ancora più lungo di anni e chissà quante altre polemiche.